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La vicenda di Roccella Jonica e i sacrifici degli italiani

Quando si parla di immigrazione, materia quanto mai complessa, le posizioni in genere divergono nettamente. Lo sbarco in Calabria di 28 migranti positivi al coronavirus (cinque sono minorenni) conferma le posizioni opposte, con il sindaco di Roccella Jonica che butta acqua sul fuoco ricordando che è “un dovere accoglierli”, mentre ad Amantea, in provincia di Cosenza, numerosi cittadini, pensandola in modo diverso, sono scesi in strada per protestare – sdraiati a terra – contro il trasferimento tra le località di Bova e della stessa Amantea, dove operano due strutture attrezzate, di 48 dei 70 immigrati soccorsi al largo di Caulonia. Altri venti migranti, tutti minori, sono ospitati in una struttura messa a disposizione del comune di Roccella Jonica, presidiata dalle forze dell’ordine.

Non è facile prendere una posizione nettamente “di parte” su episodi del genere. Riflettere e mediare è fondamentale. Il nodo è che al tema spinoso dell’immigrazione, che tanta linfa elettorale assicura alla destra di Salvini e Meloni che ha raggiunto vette imprevedibili di consensi, si aggiungono le preoccupazioni e l’insofferenza di buona parte degli italiani per il Covid e per le sue conseguenze sanitarie ed economiche. Una miscela micidiale.

Di certo, la vicenda di Roccella Jonica, un fulmine a ciel sereno, non fa bene alla Calabria che, grazie ai tanti sacrifici dei calabresi, è riuscita ad attenuare gli effetti del coronavirus rispetto al dramma vissuto dalle regioni del Nord Italia e, grazie anche a questo impegno frutto della paura, sta intercettando come manna dal cielo importanti flussi turistici in un periodo davvero drammatico per il comparto.

Bene ha fatto, quindi, la governatrice calabrese Santelli ad invocare l’intervento immediato del governo, proponendo la requisizione di unità navali, da dislocare davanti alle coste delle regioni italiane maggiormente interessate dagli sbarchi, a bordo delle quali potrebbero essere svolti i controlli sanitari sugli immigrati e potrebbe essere assicurata, in caso di positività, l’effettuazione del periodo di quarantena obbligatoria. Una soluzione equilibrata, animata dal buon senso.

La governatrice ha anche ricordato che, in caso di mancate risposte da parte del governo, non esiterà ad agire, esercitando i poteri di ordinanza per emergenza sanitaria, vietando gli sbarchi in Calabria. “Voglio evitare un braccio di ferro con il governo, ma ho l’obbligo di difendere i calabresi e chi ha scelto di passare in Calabria le proprie vacanze – ha dichiarato.

Al di là dei legittimi aspetti umanitari, che però non dovrebbero alimentare strumentalizzazioni o business, da chiedersi: dove sia l’Europa. A fronte delle decine di nuovi casi di immigrati positivi al virus o di Lampedusa al collasso, che fine hanno fatto le buone intenzioni sui ricollocamenti, sull’accordo di Malta, sui rimpatri (che la Tunisia ha bloccato con la scusa del Covid)?

E’ palese che l’emergenza Covid, sempre più grave a livello mondiale anche per l’incoscienza di alcuni leader sovranisti, in Italia non sia certo dietro alle spalle. La ripresa della mobilità nazionale e internazionale è parallela ai rischi crescenti. Ed a settembre la riapertura delle scuole non sarà certo esente da ulteriori preoccupazioni. Gli sbarchi incontrollati, va detto senza esitazioni, costituisce in queste periodo una seria minaccia che rischia di vanificare gli sforzi compiuti dagli italiani in questi mesi. Una gestione oculata, frutto anche di capacità di mediazione, è il minimo che si possa fare per prevenire situazioni sempre più esplosive.

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