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Ma ora basterà il Recovery Fund?

Situazione “complessa”, “molto critica”, “seria”. Gli aggettivi per descrivere la condizione attuale non solo sanitaria, ma anche economica, sono quasi degli eufemismi da parte delle principali istituzioni. Se fino a qualche settimana fa il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, annunciava entusiasta un Pil 2020 in calo ad una sola cifra, cioè sotto al 10 per cento di negatività, e un terzo trimestre da record per l’industria e per i principali indicatori del Paese, oggi la situazione sta rapidamente cambiando.

Da settimane, con i contagi tornati a crescere, la gente spende meno e risparmia di più, come confermano alcuni istituti di ricerca. Anche le esportazioni stanno tornando in sofferenza, specie per quei mercati – come Germania e Stati Uniti – dove il virus sta colpendo forte. E le nuove misure avranno certamente un impatto nefasto su alcuni settori economici e comporteranno ulteriori sforzi per le casse pubbliche per lenire le sofferenze. Il necessario rinnovo della cassa integrazione, con l’estensione temporale del blocco dei licenziamenti, richiede ancora fondi non proprio trascurabili.

La dicotomia tra emergenza sanitaria ed economica (e quindi sociale) si ripresenta, quindi, in tutta la sua drammaticità. Certamente se non si lenisce la prima, la seconda ne risente. Un nuovo lockdown sarebbe tragico per troppe famiglie. Dopo la pletora di errori da parte delle istituzioni, tutto è affidato ormai ai soli comportamenti individuali.

In questo quadro, le grandi aspettative per il Recovery Fund – o meglio, per il Next Generation Eu –, spesso condite di annunci trionfanti (per aver ottenuto per lo più prestiti), assumono contorni differenti. Ciò che fino a qualche settimana fa veniva identificato come una sorta di Panacea per tutti i mali, rischia di rappresentare la classica montagna che partorisce topolini.

Il problema principale è che questo piano è stato ideato per attutire le conseguenze della prima ondata. Mentre la seconda rischia di fare più danni.

Le stime per gli ultimi tre mesi di questo funesto 2020 sono fortemente negative per tutta l’Europa. In Italia, Confcommercio prevede che con il nuovo Dpcm ci sarà una perdita di consumi di circa 17,5 miliardi nel quarto trimestre dell’anno. Analoghe situazioni interessano la Francia, che come noi aveva registrato un forte rimbalzo nel terzo trimestre che rischia di essere vanificato, la Spagna e la Germania.

Occorre poi tener presente che il Next Generation Eu è in ritardo, in quanto non si è ancora conclusa la discussione tra Parlamento e Consiglio europeo sul rispetto dello stato di diritto come condizione di accesso, problema che riguarda Ungheria e Polonia. Ci sono poi le richieste dell’europarlamento e manca la ratifica dei parlamenti nazionali. Insomma, si rischia seriamente che i soldi non arrivino nemmeno per giugno 2021, data a lungo indicata dal governo, che proprio in virtù di ciò ha inserito 15 miliardi di anticipi nella legge di Bilancio.

Infine, va tenuto presente che questo piano comunitario, specie se vittima di continui ritardi, avrà impatti non rilevanti sul Pil. Secondo la Nota di aggiornamento al Def, quindi fonte di casa nostra, 0,3 per cento nel 2021, 0,4 nel 2022 e 0,8 nel 2023.

Non è allora escluso che, già nei prossimi mesi, a Bruxelles si possa valutare di aumentare la dotazione del piano. Ma si tornerebbe a quella contrapposizione tra Paesi che sta caratterizzando già questa prima fase. Probabilmente si procederà con la politica monetaria, incrementando il programma di acquisti del debito pubblico per contenere gli spread e i costi di finanziamento per gli Stati. Ma la crisi sociale ha bisogno certamente di maggiore coraggio.

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