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Quando molti figli hanno prospettive minori rispetto ai genitori

Tra i tanti fattori di fragilità che, accentuati dal Covid, stanno falcidiando il nostro Paese, merita attenzione un fenomeno che fotografa in modo concreto, meglio di altri, le nubi nere che si addensano sul futuro: la fine del cosiddetto “ascensore sociale”.

In sostanza, se per numerosi decenni, dal dopoguerra ad oggi, molti figli hanno avuto la possibilità – anche grazie ai sacrifici dei padri – di migliorare le proprie posizioni sociali e quindi, di conseguenza, anche quelle della famiglia, oggi questo meccanismo s’è interrotto e si rischia seriamente di tornare indietro.

L’Istat, nel suo rapporto annuale, è emblematica nella sua schietta analisi: “La stagnazione del sistema economico e i modelli organizzativi della pubblica amministrazione impediscono una sufficiente espansione delle posizioni più qualificate, determinando di fatto un downgrading delle collocazioni per le giovani generazioni”. Cioè se per le generazioni nate fino alla fine degli anni Sessanta la mobilità sociale è cresciuta in senso ascendente, cioè verso classi di livello superiore rispetto a quella di origine, grazie anche alla diffusione dell’istruzione e alla mobilità geografica e sociale, ora la probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose della scala sociale è in diminuzione per i nati nell’ultima generazione (1972-1986): più di un quarto (26,6 per cento) è infatti mobile verso il basso, un valore che supera per la prima volta quello di chi è mobile in senso ascendente (24,9 per cento). E’ il segno evidente di un Paese che va indietro anziché andare avanti. Tra i rischi collegati anche la cosiddetta “analfabetizzazione di ritorno”.

La crisi attuale, più di quella precedente, rischia quindi di avere ripercussioni molto forti in termini sociali. Il pericolo è che si accentuino le diseguaglianze collegate alle classi. Sia per la differente esposizione ai rischi rispetto al passato, legata ad esempio al tipo di lavoro, sia per una differente vulnerabilità in termini di malattie croniche e di capacità di avvantaggiarsi delle cure disponibili.

“Pertanto sarà più probabile che gli effetti negativi si distribuiscano in modo diseguale e si osservino di più nelle classi basse che in quelle alte – spiega l’Istat, evidenziando, però, che nonostante la diminuzione tra le generazioni del livello complessivo di ereditarietà sociale, “la classe di origine continua a condizionare i destini occupazionali degli individui, creando disuguaglianze nelle opportunità”. Insomma, pioverà sempre più sul bagnato. Specie per i giovani.

E’ noto che le previsioni del nostro istituto nazionale di statistica stimino per il 2020 un forte calo dell’attività economica (conseguente anche al rallentamento congiunturale del 2019), che solo in parte sarà recuperato l’anno successivo. In particolare è il comparto imprenditoriale ad accusare le maggiori criticità, con il problema cruciale del reperimento della liquidità. Del resto il Pil che ha segnato un crollo congiunturale del 5,3 per cento nel primo trimestre conferma in tutta la sua gravità questa emergenza, a cui si sommano la caduta del tasso di attività, il calo degli occupati, la marcata diminuzione della forza lavoro e l’inflazione negativa.

Per invertire la rotta la strada è obbligata: coesione sociale per rianimare la fiducia. Ma se la politica continuerà a dare segnali in controtendenza, con le risse ormai quotidiane, noi cittadini ci sentiremo sempre più isolati e abbandonati. Con i figli, nonostante la giovane età, prede predilette della sfiducia. 

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