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Vittorie dimezzate

Il titolo più efficace è quello dell’editoriale di oggi di Marco Travaglio sul Fatto quotidiano: “Vittoria per abbandono”. In effetti, come evidenziato da tutti gli analisti, il dato che spicca maggiormente anche in questi ballottaggi è quello dell’astensionismo: in sostanza due elettori hanno deciso anche per altri tre e in molti casi il sindaco è stato scelto da un solo cittadino su cinque. Questo è un vero e proprio schiaffo alla partecipazione democratica.

Tale particolare non è proprio trascurabile. C’è un’insofferenza crescente, accentuata anche dalla pandemia, che trova sbocco pericolosamente nelle piazze, anche perché si rischia il proselitismo e la strumentalizzazione da parte dei violenti, o nella disaffezione. È un mix di problemi ideologici, economici, sanitari, generazionali a cui il governo è chiamato a dare risposte immediate.

Vittorio Feltri su Libero di oggi descrive questo popolo come “in gran parte indifferente, che non ha più alcuna passione per le vicende del palazzo, è annoiato, quando ascolta i discorsi dei candidati di qualsiasi colore sbadiglia e se è davanti al teleschermo che dà loro voce cambia canale”. Indubbiamente c’è del vero, ma non è soltanto l’indifferenza a tenere la gente a casa. Le elezioni dimostrano principalmente che manca quell’opposizione in grado di calamitare e canalizzare questo diffuso smarrimento. Anche perché quel popolo “critico”, che in passato ha trovato sponde nella Lega di Bossi e nel movimento di Grillo, oggi è rimasto orfano di una forza anti-establishment.

Ma questo non basta ad accompagnare la lettura dei risultati.

Letta è giustamente euforico: il centrosinistra ha confermato le proprie roccaforti nelle metropoli con distacchi accentuati, ha strappato Roma e Torino ai Cinquestelle, ha tolto Savona, Isernia e Cosenza al centrodestra, rinnova i mandati dei propri sindaci in piazze tradizionalmente ostili come Varese e Latina. Ma le vittorie nelle amministrative, che portano indubbiamente ossigeno ad un Pd che viene da stagioni di sconfitte continue alle regionali, non sanano del tutto i problemi. Il centrosinistra allargato, a cui punta Enrico Letta, deve saper mantenere una coesione che in passato ha rappresentato il costante tallone d’Achille tra i tanti “cespugli” e “cespuglietti”. Davvero i pentastellati, molto ridimensionati in questa tornata, si accontenteranno di fare la stampella dei dem? E Calenda? E Renzi? Massimo Franco sul Corriere della Sera di oggi parla di coalizione “unitaria” più che “unita”. Di certo, però, il Pd beneficia della lealtà assoluta al governo Draghi e alla campagna vaccinale, dell’europeismo senza se e senza ma, di una coerenza di fondo.

Alle vittorie del centrosinistra, tradizionalmente favorite dal doppio turno che spinge i centristi – specie oggi – a rifiutare una destra dominata da Salvini & Meloni e dalla tradizionale capacità di maggiore fidelizzazione e mobilitazione dell’elettorato, hanno indubbiamente contribuito i tanti errori del centrodestra. che di fatto mantiene solo Trieste e vince in Calabria, con due candidati di Forza Italia e in fondo anche Mastella a Benevento è la vittoria di una destra moderata.

L’elenco delle problematiche è ampio: l’infelice scelta di candidati sconosciuti ai più e concordati in ritardo; la guerra intestina tra Lega, Fdi e Fi che oltre ad incidere su molti risultati (Lorusso a Torino ha vinto prendendo meno voti di Fassino cinque anni fa nel ballottaggio perso contro l’Appendino), ha materialmente fatto sfumare l’affermazione in molte città dove il centrodestra è maggioranza, come ad esempio Latina o Isernia; l’occhietto alla minoranza dei No Vax e dei No Green Pass che disorienta la maggior parte degli elettori tradizionali, che sono vaccinati, e allontana quell’Italia produttiva del Nord che costituisce l’ossatura della Lega; le radicali differenze interne sull’europeismo; il problema di alcune connessioni interne con personaggi impresentabili (le “fascisterie”), oggetto di una forte campagna mediatica da parte di media vicini alla sinistra; la contraddizione, tutta nella Lega, tra la presenza nel governo Draghi e le lotte in piazza, cioè tra la linea Giorgetti e la linea Borghi.

Il prossimo appuntamento politico sarà cruciale per sciogliere tanti nodi: l’elezione del presidente della Repubblica a febbraio 2022. A giocare un ruolo decisivo saranno le alleanze: quelle vecchie o quelle nuove.

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