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La soluzione è il lavoro, non il reddito di cittadinanza

Domenico MamoneEurostat, l’ufficio di statistica dell’Unione europea, ha reso noti alcuni dati sul mondo del lavoro (e del “non lavoro”) che dovrebbero sollecitare più di qualche riflessione, specie a Montecitorio e dintorni.

La fotografia scattata dall’istituto di statistica comunitario evidenzia soprattutto il problema del nostro Mezzogiorno, dove un giovane su tre non studia, non lavora e non segue percorsi formativi. Appartiene a quella categoria a cui è riservato l’appellativo di Neet, acronimo di “Not (engaged) in education, employment or training”.

Il triste primato europeo, per percentuale, di questa “gioventù bruciata” appartiene alla Sicilia, che nel 2017 ha sfiorato il 40 per cento, quasi il triplo della media comunitaria. Al secondo posto troviamo la Campania, con il 38,6 per cento (crescita di 2,4 punti dal 2016). Nella “top 11” anche la Puglia con il 36,4 per cento (più 2,9 per cento sul 2016) e la Calabria al 36 per cento (più 0,1 per cento). Per completare il quadro c’è il tristissimo primato del Molise, che è secondo in Europa per disoccupazione di lunga durata, cioè il 71,8 per cento dei senza lavoro molisani si trova in questo stato da più di un anno.

Il dissesto del Sud, che avviluppa appieno le nuove generazioni, ha dunque raggiunto livelli drammatici. L’emergenza economica, tra l’altro, ha gravissimi risvolti sociali, dall’analfabetismo di ritorno al cancro della criminalità. Ad “intiepidire” una condizione esplosiva sono rimasti – paradossalmente – l’economia sommersa, il paracadute familiare, un po’ di clientelismo e le speranze legate alla forte ripresa dei flussi migratori.

La risposta meno impegnativa e laboriosa per questa amara situazione, in termini ipotetici, potrebbe essere il reddito di cittadinanza. Ossigeno per respirare. Non a caso i Cinquestelle hanno raccolto una pioggia di consensi puntando su questa proposta efficace nell’essere estremamente populista. Ma noi siamo certi che il lungo persistere di politiche assistenziali, quelle che tanti danni hanno prodotto nel Sud, finirebbe per ingessare ulteriormente gli splendidi e potenzialmente floridi territori del nostro Mezzogiorno, dove non mancano saperi e conoscenze di eccellenza ma con ristretti spazi per esprimersi.

Il Sud non ha insomma bisogno di elemosine, ma di lavoro. E per farlo occorre sostenere principalmente il “fare impresa” nell’agricoltura, nell’artigianato, nel commercio, nei servizi (ad iniziare dal turismo) da parte delle risorse umane locali. Nel contempo occorre tagliare burocrazia, malaffare, balzelli, concorrenza sleale da parte di colossi multinazionali o di imprenditori d’importazione abili nel “prendi e fuggi”.

Il Sud produce menti sopraffine che trovano la propria realizzazione quasi sempre lontano dai luoghi d’origine. Una piaga antica – il dissanguamento migratorio – che nell’epoca delle tecnologie, della mondializzazione e del lavoro da remoto potrebbe essere contrastata se solo ci fosse la cultura e la volontà di farlo. Invece la mancanza di occupazione si sposa con lo scadimento del lavoro: non solo cresce la precarietà lavorativa, ma decrescono le professioni più orientate al futuro, come la forza lavoro impegnata in scienza e tecnologie, nonché gli ingegneri. Un fenomeno che investe l’intero nostro Paese, l’unico ad andare in controtendenza rispetto all’Unione europea: mentre da noi continuano a diminuire gli occupati nei settori d’eccellenza – è la stessa Eurostat ad attestarlo – nel resto d’Europa queste professionalità continuano a crescere di numero, mediamente del 2 per cento tra 2016 e 2017. In rapporto alla popolazione, Germania e Regno Unito vantano percentuali di occupati nell’eccellenza più che doppie rispetto al nostro Paese.

E’ la sconfortante conseguenza di politiche scellerate fatte di continui tagli all’istruzione, all’università, alla ricerca, alla formazione a fronte di piccole regalie pre-elettorali, come gli 80 euro (tassati) nelle buste paga meno pesanti. Ma anche di un’inesistente raccordo tra scuola e lavoro (con la foglia di fico rappresentata dall’alternanza scuola-lavoro) e di un’inesistente politica industriale.

Il Mezzogiorno, per ripartire, ha bisogno innanzitutto di rispetto e di strategie di lungo respiro.

(Domenico Mamone)

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