Domenico MamoneLa vicenda, a cui gli organi d’informazione non hanno dedicato il doveroso spazio, ricorda un po’ lo scontro tra Davide e Golia. Per quanto limitato, il fatto di cronaca – come nelle più belle fiabe – dimostra che lo strapotere dei giganti economici può anche messo in discussione.

L’ambientazione della “singolar tenzone” è a Rometta, un centro di 6.500 anime alle porte di Messina. Da una parte due giovani programmatori siciliani, che non si sono dati per vinti dopo aver subito un presunto torto; dall’altra il supercolosso informatico che risponde al nome di Google, trascinato addirittura in tribunale per una modesta cifra.

I due ragazzi, Martino e Davide Giorgianni, titolari di una piccola società a responsabilità limitata, la One Multimedia,  si sono visti chiudere il proprio account di distribuzione di App sul Play store di Google. Una decisione giudicata ingiustificata dai due informatici siciliani.

I fratelli Giorgianni per aprire l’account avevano dovuto versare alla Google Payment Ltd la somma di 25 dollari, tra l’altro mai rimborsati dopo la chiusura dell’account che non avevano nemmeno avuto la possibilità di utilizzare.

Così i Giorgianni, “espulsi” senza appello da Google che ha impedito loro, quindi, di vendere le proprie App per Android, hanno deciso di rivolgersi al Tribunale locale, inviando citazione alla società statunitense. Con l’assistenza dell’avvocato Andrea Caristi del Foro di Messina – ricorrendo all’articolo 4 del Regolamento CE n. 861/2007 (il cosiddetto “procedimento europeo per le controverse di modesta entità”) – hanno citato la Google Payments Ltd, innanzi il giudice di pace di Rometta per richiedere la restituzione dei 25 dollari.

Google si è costituita in giudizio, producendo corposa memoria difensiva e sollevando numerose eccezioni di giurisdizione, asserendo la competenza dei Tribunali statunitensi di Santa Clara (California) ovvero del Regno Unito (Galles) ma il giudice di pace di Rometta, ritenuta sua la competenza e la giurisdizione, ha condannato il colosso a restituire a Martino i 25 dollari ed a pagargli le spese del giudizio.

La vicenda, per quanto piccola (considerata anche l’entità del contendere), acquisisce però un significato rilevante perché dimostra che le corazzate informatiche multinazionali che standardizzano l’utenza sottoponendola spesso a regole di fatto unilaterali possono avere il tallone d’Achille, nonostante contino su budget smisurati per le cause legali.

Crediamo che la meritoria azione dei due fratelli siciliani restituisca un po’ di umanità – oltre che di giustizia – a questo mondo del web che, benché offra straordinari strumenti al progresso e all’evoluzione dei territori più arretrati, sta di fatto narcotizzando il giudizio critico di tanta gente in tutto il pianeta: occorrerebbe prendere maggiore coscienza che le poche multinazionali del settore, oltre a muoversi con destrezza in fatto di doveri fiscali, di fatto costituiscono un potere transnazionale talvolta superiore a quello persino dei governi nazionali.

(Domenico Mamone)