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Covid-19: le ultime ricerche e i timori sulla terza ondata

Dall’inizio della comparsa del virus, sono state molte le ricerche, le tesi più o meno complottiste, negazioniste e non, tante le indicazioni da seguire, tra falsi miti e verità. I mezzi di comunicazione ci hanno inondato quotidianamente di notizie, fornendo dati e proponendo pareri e dichiarazioni dei vari esperti in materia, medici in passato sconosciuti ai più, ora divenuti personaggi onnipresenti sui vari media.

Ora che siamo nel pieno della “seconda ondata” del virus ed aspettiamo il suo picco, arrivano alcuni studi che confermano ipotesi sviluppate in precedenza, durante la prima fase, e forniscono evidenze scientifiche che potrebbero essere d’aiuto nella lotta contro Covid-19.

E’ di qualche giorno fa la notizia riportata dai principali quotidiani italiani, di una ricerca dell’Istituto dei tumori di Milano insieme all’Università di Siena che ipotizza come il virus SarsCoV-2 circolasse in Italia già a settembre 2019, ben cinque mesi prima del paziente 1 di Codogno. Lo studio, pubblicato sulla rivista dell’Istituto “Tumori Journal”, descrive i risultati dei test sierologici effettuati su 959 persone asintomatiche, che avevano partecipato ad uno screening per il tumore ai polmoni, rivelando che l’11,6 per cento degli esaminati avevano sviluppato gli anticorpi al coronavirus. Delle quasi 1.000 persone testate, il 14 per cento aveva sviluppato gli anticorpi già a settembre, il 30 per cento nella seconda settimana di febbraio 2020, e la maggiore concentrazione si riscontrava in Lombardia con il 53,2 per cento.

Ma c’è chi è scettico verso i risultati ottenuti da questa ricerca, ed esprime qualche perplessità.

Così l’infettivologo Massimo Galli, dell’ospedale Sacco di Milano, ha commentato, invitando ad attendere delle “conferme reali. E’ veramente difficile pensare che il virus sia così vecchio, anche perché allora non ci si spiega perché non ha creato focolai molto prima. È un virus esplosivo, quando arriva in ospedale fa decine di infezioni se non lo gestisci”.

A ben vedere, la ricerca mostrerebbe aspetti conflittuali con gli esiti di altre evidenze scientifiche, come ad esempio l’attendibilità dei test sierologici che producono falsi positivi e lo sviluppo da parte di alcune persone di anticorpi contro Sars-CoV-2, dopo aver contratto un raffreddore da “semplice” coronavirus.

Ancora più recente, del 16 novembre, lo studio dell’ISS, l’Istituto Superiore di Sanità, e della provincia autonoma di Trento, che sembra dimostrare la persistenza di alcuni anticorpi anti Sars-CoV-2 rispetto ad altri. Sono i risultati preliminari, in via di pubblicazione, che l’ISS ha reso noti in un comunicato stampa in cui viene spiegato lo svolgimento della ricerca ed i dati a cui si è pervenuti.

Si tratta di uno “studio di sieroprevalenza – hanno spiegato – al fine di valutare la diffusione dell’infezione da Sars-CoV-2 in cinque comuni della provincia autonoma di Trento che avevano registrato la più alta incidenza di casi Covid-19 nella prima fase dell’epidemia. Il lavoro si è articolato in due fasi di indagine: la prima, a maggio, in cui sono state esaminate circa 6.100 persone e poi a distanza di quattro mesi, quando sono stati riesaminati coloro che erano risultati positivi alla prima indagine. I risultati della prima indagine, in corso di pubblicazione sulla rivista “Clinical Microbiology and Infection”, avevano evidenziato che il 23 per cento della popolazione aveva anticorpi contro la proteina nucleocapside del virus Sars-CoV-2. Nella seconda indagine, appena conclusasi, si è osservata una rapida diminuzione degli anticorpi diretti contro questa proteina in una elevata percentuale di individui inizialmente sieropositivi: il 40 per cento dei circa 1.000 ritestati, è risultato infatti sieronegativo a distanza di quattro mesi dal primo test. Analizzando gli stessi campioni di siero per un altro tipo di anticorpi, diretti contro la proteina spike, è risultato, invece, che oltre il 75 per cento dei soggetti mostrava ancora una sieropositività”.

Secondo Paola Stefanelli, primo ricercatore del gruppo di lavoro: “I risultati dello studio sono rilevanti nella comprensione della dinamica e della longevità dei vari tipi di anticorpi e della capacità neutralizzante degli anticorpi anti-spike, con importanti implicazioni per l’uso dei vaccini, al momento in fase di valutazione, basati su questa proteina di Sars-CoV-2”. 

E mentre il mondo della ricerca va avanti ed esplora nuove strade, da altre parti arrivano messaggi di preoccupazione.

Il virologo Andrea Crisanti, professore di microbiologia all’Università di Padova, in un’intervista rilasciata a “La Repubblica” ha esposto i suoi timori in vista di una possibile riapertura del nostro Paese a ridosso del periodo natalizio e sulla possibilità di una “terza ondata”, ancora più pericolosa, che potrebbe sovrapporsi all’influenza stagionale: “Piuttosto che riaprire per Natale, penso che la situazione sia così malmessa da dover consigliare l’opposto: approfittare delle ferie di fine anno per chiudere tutto in quelle due settimane e cercare di fermare il contagio. Ma capisco che bisogna tener conto delle esigenze dell’economia. Se si osserva la curva dei contagi – ha precisato – e la dinamica dei decessi si capisce come siamo in una situazione sovrapponibile a quella di marzo. E se consideriamo che con il lockdown totale di allora abbiamo dovuto attendere fine aprile per intravedere la famosa fine del tunnel, si può intuire a che punto ci troviamo. E qui non stiamo nemmeno facendo un vero lockdown. Servirà più tempo perché le restrizioni producano effetto”.

Anche il direttore aggiunto dell’Oms, Ranieri Guerra, ha parlato di una “terza ondata” in un’intervista pubblicata da “Il Corriere della Sera”, sottolineando la necessità di copertura vaccinale per la popolazione: “le epidemie si comportano così. La curva, diventerà meno ripida ma questo non significa che il virus sparirà. Come la scorsa estate resterà sotto traccia e prima di allontanarlo per sempre passerà parecchio tempo, nonostante la disponibilità di vaccini. Quando arriveranno sarà anche necessario di fare in fretta a proteggere la popolazione per contenerne la velocità di trasmissione e interrompere la catena dei contagi”.

Sempre “Il Corriere della Sera”, in un articolo di Margherita De Bac in collaborazione con il professore Francesco Menichetti, docente di malattie infettive all’Università di Pisa, cerca di fare luce su alcuni trattamenti farmacologici e strumenti da utilizzare nella lotta al virus.

1In caso di positività al virus ed in assenza di sintomi gravi quali sono le prime cure da seguire? 

La prima regola è non prendere iniziative autonome e seguire le indicazioni del medico curante. L’eventuale assunzione di qualsiasi farmaco deve sempre essere preceduta dal colloquio col medico.

2Si può utilizzare il paracetamolo per tenere sotto controllo la temperatura corporea?

Sì, va preso quando la febbre supera i 38,5, in caso di mal di testa e dolori muscolari anche se i tre sintomi si presentano isolatamente. Se la febbre è più bassa, può essere tollerata e non dà fastidio, non ha senso assumere questi farmaci. Il paracetamolo è un antipiretico con scarsa attività antinfiammatoria ed è anche il più sicuro tanto che viene dato ai bambini. Non causa danni allo stomaco.

3E’ utile avere in casa il saturimetro?

È lo strumento più importante da tenere in casa assieme al termometro. Applicato al dito, serve a monitorare la funzione respiratoria, cioè a misurare la saturazione di ossigeno. I valori normali sono attorno al 96-98%. Il modo più corretto di utilizzare il piccolo apparecchio è a riposo e anche dopo aver camminato per 6 minuti, dentro casa, il cosiddetto walking test. Se dopo questa prova la saturazione non varia rispetto al valore iniziale significa che i polmoni funzionano bene. Se invece i valori scendono sotto il 9394% il medico predisporrà il tipo di intervento ed eventualmente l’esecuzione di un’ecografia polmonare a domicilio. Sarebbe questo il percorso ideale per evitare, quando la situazione non desta allarme, il ricovero.

4E il cortisone?

Secondo le indicazioni dei maggiori organismi internazionali va riservato a pazienti con grave insufficienza respiratoria, sotto il 90 per cento, che richiedono ricovero. Quindi non dovrebbe avere un impiego casalingo. C’è invece un certo abuso quando viene consigliato impropriamente per abbassare la febbre. Può essere dannoso. La raccomandazione è non usarlo se non c’è reale necessità perché può favorire la replicazione del virus. Il cortisone si è invece dimostrato una terapia fondamentale in caso di ricovero, dato precocemente. Nei pazienti giovani, adulti e anziani paucisintomatici le linee guida della Regione Lazio sconsigliano spray, aerosol (entrambi favoriscono la diffusione del virus) e cortisone.

5 E’ consigliabile l’assunzione di eparina?

Può essere usata a casa in basse dosi, come prevenzione dei fenomeni trombo-embolici, vale a dire dei coaguli di sangue che finiscono nei polmoni, prevalentemente in chi è a letto. Qualcuno ritiene possa avere attività antivirale e infiammatoria. Si tratta di un’iniezione somministrata con un piccolo ago, sempre su consiglio del medico.

6 – Gli antibiotici si dimostrano efficaci sul virus Covid-19?

Servono raramente ma nonostante la raccomandazione a usarli con cautela in questi mesi viene registrato un abuso. Non basta avere tosse o febbre per assumerli, può essere prescrizione inappropriata. Se febbre e tosse si protraggono per qualche giorno, possono essere prescritti ma sempre dietro valutazione del medico, meglio se in seguito a visita domiciliare.

7 – Utilizzare le vitamine C e D può essere di aiuto?

Pur non essendoci prova di sicuro beneficio, l’assunzione di 1 g al giorno di vitamina C e un certo dosaggio di vitamina D e zinco, metallo di cui possiamo essere potenzialmente carenti, può essere ragionevole. Questo tipo di integrazione può aiutare ad aumentare le difese all’aggressione del virus e non ha controindicazioni.

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