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Il lavoro al tempo del virus

Si tratta di un’esperienza del tutto nuova per tutti noi. Occorre risalire forse all’epidemia di febbre spagnola del 1918 (peraltro davvero letale, con decine di migliaia di vittime) per trovare un paragone nella memoria.

Quali soluzioni si possono individuare per garantire la sicurezza e al tempo stesso mantenere un livello accettabile di attività lavorativa? La chiave sembra essere nella tecnologia, e nello smart working, quel lavoro flessibile che non significa soltanto “lavorare da casa”.

Il livello tecnologico dei nostri tempi permette di sostituire molto spesso l’incontro fisico: per esempio, la riunione può essere sostituita dai cosiddetti webinar (web+seminar), con i partecipanti collegati via computer e videocamera attraverso un apposito software. Questa soluzione è economica e permette di tenere una riunione allo stesso livello di interazione e sensazioni di una reale, tranne il contatto fisico. A differenza di un webcast, tutti i partecipanti, non solo il coordinatore, possono interagire. In italiano, webinar e webcast di solito si chiamano con lo stesso termine, videoconferenza, ma la differenza c’è !

Esiste poi l’ampio mare dello smart working, il lavoro flessibile: che è anche, ma non soltanto, lavoro da casa. Tecnicamente, secondo il ministero del Lavoro: “Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”. Questo vuol dire che, per esempio, si può immaginare di venire incontro al lavoratore che abbia necessità familiari complicate dalla chiusura delle scuole e da altri eventi legati all’emergenza sanitaria in corso. Ma, attenzione, il lavoro flessibile non è lavoro senza controllo: il datore di lavoro può e deve prevedere forme di organizzazione che misurino i risultati, per esempio cartelle condivise dove secondo un calendario eseguono degli aggiornamenti che misurano il progresso del lavoro previsto e assegnato. Anche qui esistono appositi software appositamente concepiti per la gestione del lavoro flessibile.

Per la vendita, è molto probabile che la richiesta di servizi a domicilio, molto aumentata in questi giorni si manterrà in buona parte anche dopo la fine dell’emergenza, perché molte persone che non avevano mai provato le app su cellulare o i numeri per ordinare da casa, una volta imparato e apprezzato, continueranno a ordinare a domicilio. In particolare, si parla di “modello cinese”, ovvero dell’estensione alla ristorazione italiana dell’uso, tipico dei ristoranti cinesi (dei ristoranti cinesi negli Stati Uniti d’America, soprattutto, per la verità) di recapitare a casa cibi pronti. Sino ad oggi, la gran parte del cibo a domicilio italiano si identifica con la pizza, cena pratica per eccellenza, ma già da alcuni anni, nelle grandi città, esistono reti di ristoranti che recapitano praticamente ogni piatto a casa: quest’uso, è da prevedersi, si estenderà anche ai piccoli centri, man mano che i clienti lo apprezzeranno. La figura del fattorino a domicilio, già considerata legata a forme vecchio stile e antiche, quando erano soprattutto ragazzi a fare le consegne per il pizzicagnolo all’angolo, verrà rivalutata, ma si apre un problema di equa retribuzione di un lavoro spesso troppo mal pagato.

Infine, la gestione di quei servizi che non possono fermarsi, servizi al pubblico quali le farmacie, ma anche alimentari e in generale ogni vendita di prodotti. Qui l’indicazione dei decreti del Governo è di gestire secondo opportunità la distribuzione e la vendita, evitando assembramenti: quindi nei negozi si potranno gestire le file anche con un campanello alla porta, limitando gli accessi. La sanitizzazione degli spazi appare indispensabile: meno le mascherine, che dovrebbero essere indossate soltanto nel timore di essere contagiosi (e in questo caso occorre mettersi in quarantena, non servire al pubblico). Anche per gli spettacoli, si prevede una crescita della visione di film in streaming al posto del cinema, mentre quasi irrisolvibile è il problema del teatro: non tutti perdono, qualcuno vedrà crescere il proprio business, ai tempi del coronavirus.

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