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La nostra “cultura dei litorali” è essenzialmente mediterranea

ImmagineIl Mediterraneo è davvero tante cose per noi italiani. È memoria, identità, immaginario. Sappiamo dai tempi della scuola che fu un tempo mare nostrum, un grande bacino di scambi e commercio. Lungo il mare, sin dalla preistoria,  si diffusero l’olio, il vino, trasportati in anfore di terracotta che ancora numerose i sub e le reti da pesca rintracciano sott’acqua, simboli di un commercio marittimo che diede forma alla nostra civiltà. Anche suggestionati da certe notizie di oggi, spesso pensiamo al Mediterraneo come a un confine, un limite: un politico italiano parlava di “aggrapparsi alle Alpi, per non finire in Africa”. Ma per aggrapparsi con le mani all’Europa, non dobbiamo dimenticarci che nel Mediterraneo abbiamo tutti e due i piedi a mollo. E pensare che il Mediterraneo sia un limite a cui volgere le spalle è soprattutto un pregiudizio, un confine mentale. In verità le molte guerre tra arabi, turchi ed europei  – ma molte e frequenti erano anche quelle tra le potenze europee, e ci furono pure le alleanze trasversali, come quelle tra Francia e ottomani – non interrompono lungo i secoli il flusso di comunicazione: la filosofia greca ritorna in Europa con le traduzioni arabe, e merci preziose passano lungo la Via della Seta, dalla Cina fino a Venezia.

La sponda sud compensa i  periodi bui della sponda nord: quando la Spagna nel XVI secolo dà la caccia a gli ebrei, gli ottomani li accolgono e si rafforzano grazie a questi profughi che portano cultura e competenze, in un grande flusso migratorio che andò, allora, da Nord a Sud.  Saranno i grandi cambiamenti globali, piuttosto, a segnare la decadenza del Mediterraneo: alla fine del Medioevo, si interrompe la Via della seta; poi si aprono le vie oceaniche di commercio, il Mediterraneo è tagliato fuori, Venezia decade e fioriscono Londra, Amsterdam, Lisbona. Eppure, alla fine dell’Ottocento, solo pochi anni dopo la fine delle incursioni corsare e quindi del mercato degli uomini e delle donne (i corsari barbareschi rapivano schiavi cristiani, i corsari cristiani rapivano schiavi mori, come può vedere chiunque passi da Livorno, uno dei porti del commercio degli schiavi in Italia fino a tutto il Seicento), iniziava l’emigrazione italiana in Tunisia. Sono ben 25mila gli italiani in Tunisia nel 1870, e arriveranno a 90mila nel 1926. Negli anni Trenta, gli italiani in Egitto erano 55mila. E parliamo qui di emigrati, non di invasori, come avvenne in Libia, dove l’Italia si lanciò nel 1911 in un’avventura coloniale fuori tempo e totalmente sbagliata. Un esempio di come certe volte anche ad aggrapparsi alle Alpi si possa sbagliare, in questo caso volendo imitare gli imperi coloniali delle altre potenze europee.

Con il pendolo della storia, saranno i nazionalismi arabi, motivati dal desiderio di rivalsa per il colonialismo europeo e poi dalle guerre arabo-israeliane, a espellere migliaia e migliaia di italiani, di altri europei, di ebrei nordafricani, impoverendosi di risorse umane e di lavoratori abili e preparati. Anche da qui, dalla chiusura agli stranieri,  agli immigrati e alle minoranze, proviene la cattiva performance economia degli stati nordafricani nel secondo dopoguerra, di cui le crisi politiche e i flussi migratori verso Nord attraverso il Canale  di Sicilia sono l’ultima conseguenza. Oggi, il Mediterraneo può essere di nuovo uno snodo del commercio globale. La presenza economica italiana in Nordafrica ha il suo simbolo nell’Eni che sin dall’inizio della sua storia ha sviluppato un modello di azienda che ha imparato dagli errori del colonialismo a lavorare nel rispetto delle nazioni ospitanti. I flussi turistici che vanno ormai nelle due direzioni, con gli europei nelle località turistiche del Mar Rosso, ma con facoltosi asiatici che dall’India e dalla Cina affollano le navi da crociera. La Cina ha lanciato il progetto visionario della Nuova via della seta, un piano di investimenti in infrastrutture portuali e di comunicazione che sostengano il commercio mondiale dalla Cina verso l’Europa: c’è attesa a Venezia, e in altre città portuali italiane, per un futuro che ha un sapore antico.

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