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Quindici anni dopo: ciò che resta di Marco Biagi…

milestone - Dieci anni dall'omicidio di Marco Biagi - Dieci anni dall'omicidio di Marco BiagiNel 2002 veniva ucciso il giuslavorista bolognese.

C’ha lasciato una lezione appassionata ma non capita.

di LUCA CEFISI

Sono quindici anni dall’assassinio di Marco Biagi. Questo professore, docente di diritto dellavoro e studioso del lavoro in tutti i suoi aspetti, come fenomeno sociale e come valore per la società, venne ammazzato il 19 marzo 2002, a 52 anni, per strada a Bologna, da dei mitomani, però pericolosi, che volevano riportare l’Italia alla stagione degli anni di piombo, nel nome delle  “Nuove Brigate Rosse”. Non combinarono niente, ma tolsero alla vita, alle loro famiglie, agli studi, al nostro Paese, due studiosi, Biagi e Massimo d’Antona, e un sovrintendente di Polizia, Emanuele Petri.

Biagi era uno di quegli studiosi che non vogliono solo capire il mondo, ma anche cambiarlo. Era, quindi, anche impegnato in politica, perché certo non credeva che la scienza potesse essere asettica, senza fare i conti con i valori e le scelte di campo; però era difficilmente inquadrabile nel gioco degli schieramenti e della lotta politica quotidiana: volava più alto.

Socialista sin da giovanissimo, era anche un cattolico. Consulente dei governi di centrosinistra, era stato consigliere di Romano Prodi, di Bassolino, di Treu, ed ebbe molti altri incarichi, presso enti governativi, accademici e internazionali. Si può dire che fosse continuamente chiamato al massimo livello, dove ci fosse bisogno di un parere autorevole e innovativo. E di innovazione ne serviva molta, per affrontare il problema europeo della disoccupazione crescente, che si univa alla crisi dei salari, delle risorse a disposizione per gli ammortizzatori sociali, della produttività del lavoro.

In Francia, il governo Jospin nel 2002 attuava la riforma delle 35 ore, e il congedo di paternità, ma anche i contratti di impiego giovanili. In Germania, il governo Schroeder avviava il piano “Hartz”, dal nome del consulente Peter Hartz: una grande rete nazionale di sostegno alla ricerca del lavoro, nuovi contratti di lavoro flessibile e a minor costo contributivo, e i sussidi di disoccupazione venivano legati a condizioni di ricerca attiva del lavoro. In Danimarca, durante il lungo governo di Poul Nyrup Rasmussen (1993-2001) si lanciò lo slogan (in inglese) “Flexicurity”, che ha fatto il giro d’Europa, anche perché suona bene (meno in lingua italiana: “flessicurezza”) e bene risponde alle due istanze che vengono dalla società moderna: flessibilità, per gli imprenditori, e sicurezza, se non di posto fisso, almeno di ammortizzatori sociali e ricollocazione, per i lavoratori.

Torniamo in Italia: dove, nell’anno 2001, i governi di centrosinistra non erano riusciti, anche per l’instabilità tipicamente italiana (in pochi anni si erano alternati tre primi ministri, Prodi, D’Alema, Amato), a compiere riforme altrettanto incisive. Il “pacchetto Treu”, nel 1997, aveva riconosciuto, e dato modeste garanzie pensionistiche, ai nuovi lavori atipici (i “co.co.co”), ma mancava un adeguato sviluppo dell’altra gamba della flessibilità, la sicurezza, dato che in Italia la cassa integrazione, chiave della gestione delle crisi nelle grandi fabbriche, non aveva mai coperto né lavoratori atipici e autonomi né giovani in cerca di occupazione.

Biagi scelse di continuare a lavorare con il nuovo governo Berlusconi, essendo chiamato, come esperto al di sopra di ogni sospetto di parzialità ideologica, dal nuovo ministro del Lavoro, Maroni. Nell’ottobre 2001 venne presentato il Libro Bianco, una serie di proposte sulla riforma del mercato del lavoro, in sintonia con le scelte europee, che si richiamava a flessibilità e sicurezza, proponeva le politiche attive di formazione e ricollocazione, e la riforma generale degli ammortizzatori sociali; ne erano autori alcuni tecnici, tra cui Biagi, che non era il solo ma certamente il più in vista. Il clima politico non era favorevole: la sinistra all’opposizione spendeva ben poche parole di apprezzamento per il Libro Bianco, ma anche il centrodestra non sembrava in grado di maneggiare una proposta così ambiziosa. Su Biagi si accesero le luci: diventò bersaglio di polemiche, sempre legittime e lecite in democrazia, ma anche di minacce, di attacchi personali esagerati; si stavano, magari inconsapevolmente, eccitando i suoi assassini.

Se Maroni lo difendeva, il ministro dell’Interno Scajola lo giudicava, parole sue, un “rompicoglioni”, e non gli diede una scorta. Dopo, a tragedia avvenuta, sarà proposta e votata in Parlamento quella legge 848 che gli si volle intitolare, la “legge Biagi”. Una legge che raccoglieva l’idea di riconoscere e regolamentare la flessibilità, introducendo diverse forme di contratto di lavoro intermittente, con garanzie contributive e di retribuzione, inclusi i voucher, pensati come risposta al dilagare del lavoro nero. Il “co.co.co”, che Biagi non amava perché di facile abuso ai danni dei lavoratori, diventò “co.co.pro”, cioè veniva legato a un progetto a scadenza, per dimostrare che non sostituisse un lavoro “tipico”. Purtroppo, la grande creatività italiana nell’eludere le norme, e gli scarsi e inefficienti controlli, fecero sì che da “co.co.co” a “co.co.pro” poco cambiasse. Soprattutto, mancò del tutto nella “legge Biagi” l’altra gamba, la sicurezza: gli ammortizzatori sociali non vennero estesi né cambiati, la flessibilità senza sicurezza diventò un’altra cosa, da quella che avrebbe dovuto essere.

Oggi, molti anni dopo, con il Jobs Act che abolendo i “co.co.pro” ha cercato di riportare al centro il lavoro “tipico”, e l’abolizione dei voucher, si è cercato di ridurre la flessibilità (che però potrebbe sfogarsi nel lavoro nero, non è certo detto che l’assenza di strumenti legali per il lavoro flessibile lo faccia magicamente sparire), e si è finalmente ampliata parzialmente, anche se ancora non ai livelli europei, la sicurezza (con la “Naspi”, i nuovi congedi di paternità, il reddito di inclusione). Ma rimane l’amara impressione che la lezione di Biagi, che fu lezione appassionata di amore al lavoro, ai suoi diritti e ai suoi doveri, sia stata poco e mal capita da tutti gli schieramenti politici.

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