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Terremoto e impatto sull’agricoltura

sismaIl 24 agosto 2016 sarà una data che rimarrà impressa nella memoria degli abitanti di Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto e Pescara del Tronto per molto tempo, ma anche in quella di tutta Italia e forse del mondo, visto che tutti i media internazionali ne hanno parlato: ebbene sì, forse non c’è neanche bisogno di dare ulteriori spiegazioni, stiamo parlando del terremoto che ha devastato alcuni comuni del centro Italia. Secondo i dati del Registro delle imprese sono poco più di 3.700 le imprese, 670 delle quali con sede ad Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, coinvolte nel terremoto del 24 agosto. Le attività produttive della zona fra Lazio, Abruzzo, Umbria e Marche erano per lo più a carattere familiare e producevano essenzialmente salumi e formaggi, secondo la più autentica norcineria di qualità. A lavorare in queste attività più di 800 persone tra imprenditori e dipendenti. Nelle campagne terremotate dove sorgevano le aziende agricole, in cui l’agricoltura rappresenta la prima fonte di reddito, soprattutto nella zona del reatino, molte case degli allevatori sono crollate, così come le stalle con pecore e mucche disperse o morte sotto le macerie. La perdita del bestiame ha comportato una conseguente mancanza di latte, e un’ingente spesa per “sfollare” il bestiame sopravvissuto dalle stalle ormai inagibili in altre zone non a rischio. Ma un riparo per il bestiame non è sufficiente a garantire una buona produzione, alla sopravvivenza del bestiame sono indispensabili anche acqua potabile, strumenti per la recinzione, mangimi e carrelli per la mungitura, tutti elementi difficili da reperire in seguito alla distruzione causata dal terremoto. C’è poi non solo la questione dell’allevamento ma anche e soprattutto dei loro rispettivi allevatori, già mortificati e sfollati dalle proprie case distrutte. Infatti devono anche preoccuparsi di non abbandonare gli animali sopravvissuti al disastro, una mucca ad esempio per produrre il latte deve essere munta due volte al giorno e ovviamente essere nutrita. Per un allevatore quindi appare improponibile allontanarsi dalla sua attività, specie poi se di notte, e allora dormire in auto per controllare quel che resta del bestiame è diventata una scelta forzata.  In sostanza la gran parte della produzione locale si è bloccata dopo il terremoto. La maggior parte degli allevatori ha bovini da latte, ma la produzione non è stata più quella di prima perché le mucche sono anch’esse stressate ed impaurite dopo che la terra ha tremato. Di conseguenza si è prodotto molto meno latte rispetto a prima e, quello che si è riusciti a produrre, spesso non si è riusciti a portarlo a destinazione per via delle strade rurali dissestate. Sono stati necessari ricoveri d’emergenza per il bestiame, e a sommati, vicino ad Amatrice, la Dicomac, il centro di comando e controllo della Protezione Civile, ha eretto una tensostruttura per il ricovero di mangimi e foraggi.  Alla fine, una prima quantificazione dei danni economici è stata fissata in via prudenziale, a 4 miliardi di euro, secondo quanto proposto dal Presidente del Consiglio Renzi in una conferenza stampa del 23 settembre. Questo da un lato apre la questione della flessibilità di bilancio, con il governo italiano convinto che le spese per l’emergenza e la prevenzione debbano essere calcolate fuori dai limiti del Patto di Stabilità europeo, confermando con l’occasione l’estensione al 2017 dell’ecobonus al 65% per chi investe in miglioramenti e adeguamenti anti-terremoto degli edifici. Questo potrebbe provocare un conflitto con Bruxelles, visto che la posizione italiana appare non concordata con la Commissione Europea, che già ha fatto sapere, per bocca del suo presidente Jean-Claude Juncker, che l’Italia ha già lavorato di flessibilità per 19 miliardi nel bilancio 2016. In ogni caso, è stata definito dal governo il cosiddetto “cratere”, cioè l’elenco dei comuni dove entrerà in vigore la sospensione dei termini di pagamento per imposte e fatture. Ulteriori decreti arriveranno nelle settimane successive, da un lato il piano pluriennale “Casa Italia” contro le catastrofi naturali e di efficientamento energetico, dall’altro un annunciato “un meccanismo chiaro di riconoscimento pieno dei danni del terremoto”, promesso dal commissario Vasco Errani per ottobre, e indicando l’obiettivo nel “ricostruire tutto, comprese le seconde case”. Con quasi 300 vittime, sono circa 3.000 le persone assistite dopo il sisma, 2.500 delle quali ancora in tenda ad un mese dall’evento, ha detto il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio. Il passaggio sarà dalle tende ai prefabbricati, ma con l’intenzione di evitare insediamenti nuovi, cioè edilizia di rapida costruzione del tipo delle cosiddette “new town” secondo il progetto C.a.s.e. che venne mirato, dopo il terremoto dell’Aquila, a riportare rapidamente gli sfollati in edifici abitativi, in attesa della ricostruzione o al posto della ricostruzione. Quest’esperienza, considerata fallimentare, non sarà ripetuta, e si mira a ricostruire “com’era e dov’era”, spingendo molto sul facilitare e sostenere i proprietari nel ripristino. Si tornerà a modelli di intervento più “bassi” sul territorio, abbandonando la cabine di regìa a livello nazionale e i grandi piani di intervento dall’alto e coinvolgendo di più i comuni, secondo le esperienze di successo più antiche, come in Friuli, o più recenti, come in Emilia. La nomina a commissario di Errani, già presidente regionale emiliano, quindi uomo a cui sono congeniali logiche di intervento centrate sull’ente locale, dovrebbe avere questo significato. Raccogliendo i dati complessivi dovrebbero essere colpite, visti i dati Istat, 1.894 aziende in 17 comuni. 658 strutture in Umbria, 582 nelle Marche, 282 nel Lazio, 372 in Abruzzo. Dalla Regione Lazio si annuncia un progetto speciale per garantire le produzioni tipiche locali, con 100 mila euro stanziati in urgenza e poi un fondo di garanzia, sempre nell’ambito del PSR.  L’area investita dal terremoto si trova storicamente all’incrocio tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio, al centro dell’Appennino, ed è quindi caratterizzata da una prevalenza dell’allevamento ovicaprino tradizionale, ma negli ultimi anni si è estesa la presenza di qualità, bovino bianco dell’Appennino e suino nero allevato all’aperto; il prosciutto amatriciano e il guanciale sono i salumi più importanti della zona, che produce anche formaggi degni di nota. Chi voglia, potrebbe dedicare una piccola parte del bilancio familiare all’acquisto di questi prodotti, abbastanza facili da reperire almeno nei supermercati di Roma e nei negozi di gastronomia del centro Italia. I danni di lungo periodo riguarderanno certo la ridotta produzione, e l’agriturismo, assai sviluppato nell’area: senza dubbio la parte finale della stagione è stata rovinata, con significative perdite in termini di presenze turistiche a tutto settembre. Le misure specifiche per l’agricoltura, secondo una nota della Regione Umbria, possono essere attinte dagli strumenti di politica agricola, a partire dalla rapida attivazione della misura 5.2 del Programma di sviluppo rurale 2014/20, che è appunto dedicata al ripristino del potenziale produttivo agricolo danneggiato da calamità naturali e da eventi catastrofici. Un altro elemento importante riguarda l’anticipo dei pagamenti dei fondi di sviluppo rurale da parte di Agea, delle anticipazioni della Pac e delle misure a superficie, uno sforzo in questo senso è stato promesso a tutti i livelli. Il problema che sarà evidente nei prossimi mesi, con l’arrivo dell’inverno, è che il tempo perso per i mancati lavori agricoli stagionali non si può recuperare.

Rimane il problema dell’assicurazione obbligatoria contro i disastri naturali: una vecchia idea, a suo tempo portata avanti dal governo Monti, con il duplice obiettivo di rafforzare il sistema assicurativo italiano e alleggerire lo Stato: non se n’è poi fatto niente, ma un’assicurazione sugli edifici, fiscalmente detraibile come le assicurazioni sulla vita e calmierata nei costi, rimane una soluzione all’ordine del giorno, che prima o poi tornerà a proporsi.

 

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