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Attenzione agli effetti del nuovo catasto

Presidente28

Il mondo dell’edilizia, specie in un Paese come il nostro dove la radice culturale contadina assicura una forte considerazione per il mattone, riveste un ruolo centrale per le politiche economiche. Oltre ad assumere – insieme all’innovazione tecnologica – una funzione strategica per la crescita e per lo sviluppo e per la stabilizzazione del ciclo economico, ha più volte anticipato la congiuntura attraverso diversi indicatori come il numero e la distribuzione dei permessi, il peso dell’edilizia residenziale, l’entità degli investimenti.

In Italia il mondo delle costruzioni, pur tra luci e ombre (per l’ambiente), ha rappresentato l’emblema del benessere radicatosi negli anni Sessanta. Il boom del mattone, in quegli anni, è stato parallelo alla rapida espansione dell’economia di mercato. Oggi oltre due terzi degli italiani ha una casa di proprietà e i 40 milioni di immobili (con 25 milioni di proprietari) incarnano il vero patrimonio economico individuale e collettivo nel duplice ruolo di beni durevoli e di attività finanziarie. Inoltre intorno alle case ruota un indotto economico notevole che alimenta piccole e grandi aziende tra manutenzioni e servizi.

Tale modello di sviluppo, però, è oggi in debito di ossigeno in quanto l’edilizia produce sempre meno ricchezza, molte aree sono sature e ragioni demografiche fanno lievitare il numero di abitazioni inutilizzate. Per cui l’oculata gestione di questa realtà da parte della politica è basilare per preservare un ciclo economico già boccheggiante: ipertassazioni o bolle speculative nel mercato immobiliare sono state, infatti, catastrofiche per l’economia di intere nazioni, com’è successo ad esempio in Italia negli ultimi anni con una pressione fiscale smisurata sugli immobili o in Giappone, in Spagna, in Irlanda e negli stessi Stati Uniti con le bolle immobiliari, le cui conseguenze hanno inciso negativamente anche nei mercati finanziari.

In Italia, come noto, la pressione fiscale imposta soprattutto dal governo Monti, che ha penalizzato sensibilmente i proprietari di abitazioni (oltre 50 miliardi di euro annui il gettito prodotto dal mattone tra Imu, Irpef, Iva, Tari, Tasi, catasto, trascrizioni, ecc.), ha determinato il crollo di valore degli appartamenti – ancora oggi in atto – e la paralisi dell’edilizia, incapace di riconvertirsi rapidamente nella gestione e manutenzione oculata dell’esistente, ad esempio attraverso la riqualificazione e l’adeguamento dell’impiantistica. Tutto ciò ha, di fatto, finito per impoverire l’intero Paese.

Su questo scenario pende ora la spada di Damocle della riforma del catasto, fortemente imposta dall’Unione europea (almeno dal 2011), evitata nel 2015 e ora inserita nel Piano nazionale di riforme da inviare a Bruxelles. Il rischio concreto è che – passando dalla valutazione in metri quadrati rispetto ai vani – la novità si possa tradurre nell’ennesima stangata fiscale che avrebbe drammatiche conseguenze sul valore degli immobili (già in discesa da un decennio), sulle tasche degli italiani (l’Imu sulle seconde case, ad esempio, potrebbe raddoppiare) e sulla flebile ripresa. L’impatto avrebbe effetti nefasti anche sull’Isee, fortemente legato agli immobili, con ricadute sui servizi (asili nido, assistenza domiciliare, borse di studio, buoni libro, mense, riduzioni, tasse universitarie, viaggi-studio, ecc.) e sul welfare. Inoltre potrebbero schizzare i prezzi degli affitti per controbilanciare l’aumento dei costi, nonché ricevere nuovo impulso l’evasione fiscale.

Aumentare la pressione fiscale sugli immobili, specie in alcune aree del Paese, rischia di alimentare un processo di desertificazione con conseguenze davvero poco esaltanti.

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