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L’incultura della morte

Amnesty International, la meritoria organizzazione internazionale che lotta in difesa dei diritti umani, diffonde annualmente un Rapporto sullo stato della pena di morte nel mondo. Occasione per riflettere sulla brutalità che continua a caratterizzare, anche in termini di “ingiusta giustizia”, tanti angoli del mondo.

Se i drammatici conflitti in corso, con stragi ormai quotidiane, accentuano il disvalore assegnato alla vita da tanti potenti alla guida di Paesi etichettati addirittura come democratici (ed altri leader europei auspicano, di fatto, l’escalation del conflitto russo-ucraino), questi “omicidi di Stato” che avvengono nelle prigioni di numerose nazioni non sono dissimili: basti pensare agli Stati Uniti, considerati un esempio di garanzia di diritti, mentre la pena capitale continua a generare vittime, ben 24 soltanto nel 2023. Nello scorso gennaio è stato giustiziato anche il 59enne Kenneth Smith attraverso un’iniezione di azoto che ha provocato oltre 20 minuti di atroce sofferenza.

Gli Stati che mantengono la pena di morte sono cinquantacinque. Nel 2023, sedici di questi hanno eseguito condanne. Stabilire un numero esatto di vittime è impossibile perché in alcuni Paesi, come la Cina, è tutto nascosto. Di certo le 853 esecuzioni portate a termine tramite impiccagione in Iran segnano un aumento del 74% rispetto al 2022. E le 172 decapitazioni in Arabia Saudita sono di fatto occultate dai tanti che fanno affari con questo importante e ricchissimo Paese arabo. In questa lista ci sono Paesi non proprio estranei alla geopolitica internazionale, come Egitto, Kuwait, Singapore o Vietnam.

Va sottolineato con forza che nessuno è riuscito finora a dimostrare che lo spettro della pena di morte riesca a funzionare come deterrente per ridurre il crimine. La pena capitale nella maggio parte delle nazioni è utilizzata come strumento politico per mettere a tacere l’opposizione o per aggraziarsi l’elettorato più forcaiolo.

Finché non torneremo a dare valore alla vita, la parola civiltà resta estranea a gran parte del nostro mondo, comprese nazioni che si autodefiniscono democrazie.

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