Gli italiani che hanno i capelli bianchi hanno un ricordo amaro di Edson Arantes Do Nascimiento, ovvero Pelé. Quel 21 giugno 1970, allo stadio Azteca di Città del Messico, la finale del nono campionato del mondo di calcio, con la definitiva assegnazione della coppa “Jules Rimet”, ci vide amaramente soccombere per 4 a 1 contro il Brasile, dopo esserci illusi in semifinale per il mitico 4 a 3 contro la Germania.
In quella finale stregata proprio dal campione carioca, dopo un primo tempo abbastanza equilibrato, suggellato dall’1 a 1 con rete iniziale proprio di Pelè al 18° minuto con un colpo di testa memorabile e gol di Roberto Boninsegna al 37°, nel secondo tempo la squadra sudamericana prese via via il sopravvento segnando gli altri tre gol con Gérson, Jairzinho e Carlos Alberto. Inutile dire che la “perla nera”, nata a Três Corações nel 1940, fu il protagonista assoluto.
Oggi che Pelé non c’è più, stroncato a 82 anni da un tumore, è doveroso ricordare questo poeta dello sport che dovrebbe essere conosciuto anche dalle giovani generazioni per una tecnica sopraffina e un insuperabile bagaglio di successi.
“O Rei”, com’era soprannominato in patria, oltre ad essere stato l’unico calciatore a vincere tre mondiali (1958, 1962 e 1970), il primo a 17 anni, ha infatti collezionato numeri incredibili: ben 1.279 reti segnate in carriera, alcune davvero fantastiche (come quella nella finale del mondiale contro la Svezia nel 1958); una media di 0,93 gol a partita nelle gare ufficiali; oltre cento canzoni che narrano la sua leggenda, di cui due incise da lui stesso insieme a Elis Regina; una collezione unica di incontri internazionali, ricevuto da 70 premier, 40 capi di Stato e tre Papi.
Benché abbia fatto male calcisticamente a tante nazioni, Pelé non è stata quindi soltanto la bandiera di quello straordinario Brasile con cui ha vinto, appunto, ben tre mondiali, ma un’icona del calcio mondiale. Di quel calcio genuino e sanguigno, concreto e vibrante, elegante e mitico, di cui abbiamo tutti nostalgia. Ecco perché ogni paragone con i campioni di altre epoche, compresi quelli odierni, non regge. Pelé, con la sua infinita tecnica, con la padronanza di destro e di sinistro, oltre che di testa, con gli straordinari dribling e la velocità del campione ne è stata l’assoluta figurazione, non a caso immortalata anche da un artista simbolo del Novecento come Andy Warhol.
Il Cio, il Comitato olimpico internazionale, nel 1999, lo ha premiato come “atleta del secolo”. Mai una scelta del genere è stata condivisa da tutti.