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Salario minimo e cuneo fiscale

Il Consiglio dell’Unione europea e i negoziatori del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo per una legge sul salario minimo nell’Unione europea, cioè quella soglia base di stipendio sotto la quale i datori di lavoro non dovrebbero – e potrebbero – retribuire il lavoratore. Attualmente nell’Unione europea non esiste una legislazione uniforme in materia: 21 dei 27 Stati hanno una propria legislazione sul tema, mentre i restanti sei (Italia, Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia) affidano l’individuazione della paga base ai contratti collettivi delle diverse categorie.

La decisione europea rappresenta, però, soltanto un piccolo passo, limitandosi all’indicazione di criteri e procedure, e rinunciando all’imposizione per legge.

Se in apparenza garantire una soglia minima è un fatto di civiltà e di giustizia sociale, in realtà la materia è alquanto più complessa. Non a caso da anni il dibattito italiano sul tema vede due fazioni contrapposte, riconducibili genericamente alla sinistra e alla destra.

Pd e M5S costituiscono il fronte dei favorevoli. In particolare il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha esaltato a più riprese questo strumento come risposta all’inflazione: la sua proposta è concentrata sulla modifica della contrattazione, in particolare sul trattamento economico minimo presente nei principali contratti nazionali.

L’ex ministro del Lavoro, la grillina Nunzia Catalfo, è la firmataria di un disegno di legge che di recente ha ripreso l’iter parlamentare. Questo testo prevede nei contratti una retribuzione complessiva non inferiore a nove euro all’ora, al lordo degli oneri contributivi e previdenziali. Su questo ha polemizzato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ricordando che “i nostri contratti sono tutti oltre i nove euro all’ora”.

Al di fuori dei partiti, tra i favorevoli c’è anche il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, il quale però avverte che bisogna evitare “automatismi”, che rischiano di produrre circoli viziosi tra inflazione e aumenti salariali e, dunque, ricadute negative sul lungo periodo.

Sul fronte opposto gli esponenti del centrodestra. Secondo il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, “il salario minimo per legge non va bene, perché è contro la nostra storia culturale di relazioni industriali: il salario non può essere moderato, ma deve corrispondere alla produttività”. La presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, spiega la sua contrarietà nel fatto che molti lavoratori sono già tutelati da un contratto nazionale di lavoro nel quale è presente la garanzia del salario minimo e vede questo tema come una sorta di diversivo “per non affrontare le discriminazioni vere che esistono nel mercato del lavoro, la precarietà, i lavoratori autonomi, il problema della tassazione troppo alta”.

Come Unsic da sempre indichiamo un’altra soluzione per rendere più robuste le buste paga dei lavoratori: tagliare il cuneo fiscale, cioè alleggerire di oneri i datori di lavoro e dirottare una parte di questi soldi negli stipendi. Sarebbe una soluzione anche più trasparente rispetto ad un minimo stabilito per legge che non terrebbe conto dell’enorme sacca di lavoro sommerso che caratterizza purtroppo il mondo del lavoro italiano, specie nel Mezzogiorno. Un’imposizione del genere, ragionando in modo pragmatico e non ideologico, finirebbe per alimentare “il nero” anziché ridurlo.

(Domenico Mamone)

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