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Il passato ha un ruolo centrale nel fare impresa

Domenico MamoneHistoria magistra vitae scrive Cicerone. La storia è maestra di vita. Ed aggiunge che è “annunciatrice dei tempi antichi, testimonianza del passato, luce di verità, vita della memoria”. Sagge certezze, forse oggi troppo frettolosamente declassate nell’area delle vacuità. Eppure, richiamando la base di una dottrina non proprio secondaria, il confucianesimo, l’ammonimento è chiaro: occorre studiare il passato per prevedere il futuro.

Evidentemente non la pensa così l’ex insegnante di educazione fisica Marco Bussetti, passato dall’allenamento del Gallarate basket al vertice del ministero della Pubblica istruzione: il suo dicastero ha infatti cancellato la traccia storica dalla prima prova scritta della maturità. O meglio, ha soppresso il tema di storia, che costituiva traccia a sé stante, per inserirla in maniera trasversale nelle altre della prova di italiano. Se il tema storico ha costituito fino allo scorso anno una delle quattro prove dell’esame di Stato, da quest’anno non sarà più presente nel nuovo esame di Stato: l’ambito storico rimane soltanto uno tra quelli proposti per la cosiddetta “traccia B”, cioè la riflessione critica di carattere espositivo–argomentativo, per il cui svolgimento verranno proposte tre tracce di carattere artistico, letterario, storico, filosofico, scientifico, tecnologico o economico. Insomma, la traccia di carattere storico sarà una possibile opzione presente nella nuova prova di italiano.

La novità è stata introdotta con la circolare Miur numero 3050 del 4 ottobre 2018 e nel Documento di lavoro della commissione presieduta da Luca Serianni.

In questi mesi sono tante le associazioni che hanno levato gli scudi, compreso il Coordinamento delle Società storiche. Nel loro testo si legge: “La scomparsa della tradizionale traccia di storia dalle tipologie previste per l’esame di maturità sembra seguire un percorso di marginalizzazione della storia nel curriculum scolastico, già iniziato con la diminuzione delle ore d’insegnamento negli istituti professionali. Si tratta di un’immotivata novità che riduce di fatto la rilevanza della storia come disciplina di studio in grado di orientare i giovani nelle loro scelte culturali e di vita. Svilire in questo modo la specificità del sapere storico nella formazione scolastica significa inoltre accelerare, forse senza rendersene conto, un processo già in atto di riduzione del significato dell’esperienza del passato come patrimonio di conoscenze per la costruzione del futuro”. Tutto giusto.

Ora la polemica ha acquisito forza grazie alla senatrice Liliana Segre, che oltre ad aver richiesto un incontro con il ministro, s’è fatta promotrice di un’indagine – affidata alla Commissione Cultura del Senato – per sapere da che cosa sia nata la decisione del ministero di cancellare la traccia storica, di “ridurla a merce d’antiquariato, inutile e fuori moda”.

Da viale Trastevere, seppur in modo informale, la risposta c’è già: il tema storico è stato puntualmente snobbato dagli studenti e negli ultimi otto anni meno del tre per cento di loro ha scelto la traccia storica. Davvero un’inezia.

C’è però da capire perché il passato non trovi un adeguato numero di appassionati tra i giovani. E forse, tra le molteplici motivazioni, c’è anche lo svilimento che la materia ha subito proprio nella scuola. Ad esempio, nel biennio degli istituti professionali la disciplina è ridotta ad un’ora settimanale proprio da quest’anno. Nei licei è ormai associata alla geografia in una materia unica definita “geostoria”. E sono sempre più rare le occasioni di confronto e di testimonianza diretta nelle attività parallele allo studio sui banchi.

Come imprenditori, portatori di un sapere che si trasmette nel tempo, siamo coscienti dell’importanza del valore storico. E questa polemica, che rischia però di finire strumentalizzata politicamente, ci offre l’occasione di interrogarci proprio sul ruolo centrale del nostro passato, delle esperienze umane, delle evoluzioni e degli errori, dell’acquisizione di coscienza e di competenze. Strumenti indispensabili perché il progresso non sia una parola insensata e vana.

(Domenico Mamone)

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