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Xylella, non è un’emergenza passata, anzi…

Domenico MamoneSono trascorsi quasi cinque anni da quando esplose il caso del batterio americano “Xylella fastidiosa” che stava distruggendo gli oliveti nella zona di Gallipoli. Allora un enorme clamore. Giustamente. Ma oggi, che l’emergenza non è finita, sembra sia calato un velo di silenzio, almeno a livello nazionale.

Eppure da allora sulla materia si sono misurate innumerevoli ipotesi e convinzioni, spesso antitetiche tra loro.

Sotto i riflettori, ad esempio, sono finiti numerosi autori di libri, che hanno dato voce alle tante supposizioni: è il caso della giornalista pugliese Marilù Mastrogiovanni con il suo “Xylella Report” del 2015 o dell’agronomo Stefano Carbonara con il recente “Xylella in Puglia”. Ma anche politici, come il senatore pentastellato Maurizio Buccarella, avvocato leccese che ha guidato numerose manifestazioni di agricoltori. Persino personaggi del mondo dello spettacolo hanno detto la loro, come l’attrice Sabrina Guzzanti e il cantante del gruppo musicale Sud Sound System, che hanno ipotizzato una cospirazione della multinazionale Monsanto per cancellare gli ulivi pugliesi.

Ma lo scontro di ipotesi è avvenuto soprattutto sul piano degli studi e delle ricerche. Di recente, ad esempio, il batteriologo campano Marco Scortichini del Crea ha pubblicato sulla rivista “Phytopatologia Mediterranea” i risultati – definiti promettenti – di una ricerca triennale sul fertilizzante Dentamet (un biocomplesso a base di zinco, rame e acido citrico) che controllerebbe efficacemente la malattia. Ma queste conclusioni sono state pesantemente contestate da un altro esperto, Enrico Bucci, professore aggiunto alla Temple University di Philadelphia.

Tra i tanti che hanno preso a cuore il problema ricordiamo il fisiologo Cristos Xyloyannis dell’Università della Basilicata, che si è concentrato sulla mancanza di sostanza organica nel terreno e sul compost, Pietro Perrino, già direttore dell’Istituto di genetica vegetale del Cnr, fautore dell’agroecologia e oppositore di concimi chimici, pesticidi, antiparassitari ed erbicidi, nonché diversi micologi che hanno ipotizzato specie di funghi tra gli agenti patogeni. E ci fermiamo qui.

Certamente oggi, rispetto a cinque anni fa, sappiamo di più di questo flagello che sta decimando testimonianze non solo agronome, ma anche storiche e sociali della Puglia: c’è una lista, costantemente aggiornata, con 70 piante arboree ed erbacee che possono essere infettate; il genoma della Xylella è stato finalmente sequenziato; c’è certezza che la Xylella attacca preferibilmente certe cultivar di olivo rispetto ad altre, ad esempio Ogliarola e Cellina rispetto a Leccino e Favolosa (ciò consente di studiare i fattori legati alla resistenza).

Nonostante i passi in avanti, però, il problema di fatto non è risolto e la Xylella si sta espandendo verso nord, ormai alle porte della provincia di Bari, dopo aver invaso una notevole area della zona di contenimento nelle province di Brindisi e Taranto. La stessa zona di contenimento si è allargata, spostandosi a nord, mentre l’area infetta risulta ormai di oltre cinquemila chilometri quadrati e comprende tra uno e tre milioni di olivi. In soli due mesi ammonterebbero a ben 2.251 le nuove piante positive al batterio nella fascia di contenimento, quella che taglia in due la Puglia e dove è previsto l’abbattimento dei soli ulivi infetti. Dai primi di gennaio si è passati dagli 893 positivi della stagione 2016-2017 agli attuali 2.986. Insomma, l’emergenza è ancora tutta lì. Anzi, più grave di prima.

Oltre al disastro ambientale, con la compromissione di splendidi paesaggi rurali, c’è quello economico. Secondo alcune stime, i danni apportati dalla Xylella nelle province di Lecce, Taranto e Brindisi sono quantizzabili in non meno di un miliardo di euro. E sono in carico allo Stato, quindi a tutti noi, gli indennizzi agli agricoltori (il più delle volte insufficienti) per i danni causati dalla malattia.

Al crollo della produzione di olio – passata nella sola provincia di Lecce da 479mila quintali del quadriennio 2006-2009 ai 301mila dell’ultimo quadriennio, con riduzione del 37 per cento secondo i dati della Rete europea sulla contabilità agraria (Fadn) – si aggiunge la perdita di 4.238 posti di lavoro a tempo pieno nella sola fase agricola.

Non vanno poi dimenticate le conseguenze legali: innumerevoli i ricorsi al Tar contro gli abbattimenti degli ulivi infetti.

C’è poi il problema dei costi individuali per “ripartire”: le ripetute applicazioni di qualsiasi prodotto (ammesso, tra l’altro, che un fertilizzante possa ambire ad offrire una cura), costituiscono un costo difficilmente sostenibile da aziende già in forte difficoltà economica a causa dei disseccamenti.

Infine c’è il tema della riprogettazione del territorio, in particolare attraverso il reimpianto o la riconversione produttiva.

Ecco perché nella malaugurata ipotesi che la Xylella contamini anche la provincia di Bari, cuore dell’olivicoltura regionale e nazionale, l’emergenza passata sarebbe un granello di sabbia rispetto al disastro di perdere più della metà della produzione di olio extravergine d’oliva con danni di centinaia di milioni di euro e ripercussioni disastrose sui fronti del reddito e del lavoro.

(Domenico Mamone)

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