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Teatro, successo a Roma della compagnia “Chiodo storto”

Diceva l’immenso Eduardo De Filippo che finché ci sarà un filo d’erba sulla Terra ce ne sarà uno finto su di un palcoscenico. Il teatro, esercizio anche e soprattutto spirituale, in sostanza non finirà mai. Quando poi la compagnia è valida, gli obiettivi vengono facilmente raggiunti.

“Chiodo storto teatro” è un’associazione culturale che promuove cultura, appunto attraverso un palcoscenico, nel quartiere romano del Torrino, periferia sud della Capitale. Uno dei luoghi sacrosanti dove non soltanto si valorizza l’aggregazione, si coltivano le relazioni, ma si promuove l’arte attraverso esperienze sane e di spessore, con ricadute didattiche, culturali e sociali.

Guidato dal regista Marco De Riso, professionista diplomato alla scuola di recitazione, il gruppo coeso e affiatato mette in scena più spettacoli all’anno, che rinnovano il “tutto esaurito” proprio per l’ottima qualità delle performance.

La denominazione “Chiodo storto”, curiosità doverosamente da spiegare, deriva dall’abitudine di un grande attore italiano di conservare i chiodi storti che rimanevano dimenticati in qualche intercapedine del teatro. Il classico portafortuna.

Nello scorso fine settimana la compagnia ha portato in scena quello che è ormai un classico, il romanzo “Sottobanco” del 1992, scritto dall’ex insegnante Domenico Starnone, napoletano trasferitosi a Roma. Reso celebre dall’interpretazione di Silvio Orlando e Angela Finocchiaro, adattato al grande schermo nel 1995 con il film “La Scuola” di Daniele Lucchetti (con lo stesso Silvio Orlando affiancato da Anna Galiena) e da alcune produzioni televisive, il testo fotografa con ironia graffiante la situazione critica di una scuola media superiore negli anni Novanta, che presenta analogie con solo con tanti istituti in quegli anni, ma soprattutto con quelli odierni, resi ancora più problematici dai due anni di pandemia e dal boom del digitale, nuova diffusa dipendenza.

Il romanzo portato in scena offre la franca rappresentazione, scritta da uno che l’ha vissuta sulla propria pelle, di tutto ciò che della scuola non si vede dall’esterno: una burocrazia rappresentata dagli onnipresenti registri, che si scontra con una costante arte d’arrangiarsi; il ruolo sempre prevalente del dialogo che spesso diventa discussione e pettegolezzo; il costante confronto tra visioni opposte della didattica, figlie della differente percezione dell’esistenza; la saga di giudizi affrettati e delle facili etichettature; le immancabili scritte sui muri e le lettere anonime. Così i “ragazzi difficili” – come “Cardini Marco”, uno da 26 assenze a materia – diventano, allo stesso tempo, mani sottratte all’agricoltura o geni incompresi. L’amara realtà di ogni giorno sfocia in una burrasca di comicità: succede nella vita e, naturalmente, capita anche a scuola.

Ambientato in una palestra “sgarrupata” trasformata in sala dei professori, in quanto unico luogo agibile dell’edificio scolastico benché infestato dai topi (“Siamo stati deportati in questo posto” si lamenta la professoressa di ragioneria ad inizio spettacolo), lo spettacolo è incentrato sullo scrutinio di giugno, dove “tutti i nodi vengono al pettine”. Sono gli schietti racconti di un originale campionario umano di insegnanti a ripercorrere gli avvenimenti dell’intero anno scolastico, in particolare un’escursione che i docenti non si risparmiano a chiamare “gita”, visti gli esiti scontati tra ragazzate e sentimenti senza freno. Ma non mancano le paradossali scene quotidiane nelle aule scolastiche, che in fondo ognuno di noi ha vissuto specie con professori logorati dalla professione e dai variegati idiomi dialettali salvaguardati dai luoghi di provenienza. Tra i ricordi personali spicca il docente di filosofia, anche bravo, ma che ci trasmetteva i classici greci troncati dalle lettere finali (spettacolari i vari “Platonn” o “Plotinn”).

Quella di Starnone è un’opera ingegnosa, quasi titanica, capace di fondere elementi di umorismo con occasioni di riflessione; un’esperienza artistica quanto mai collettiva, corale, è il caso di dire “collegiale”, dove i singoli ruoli, ben disegnati e strutturati, si fondono in un connubio armonico che sfocia nel puro divertimento quale risultato finale.

La compagnia “Chiodo storto”, ben organizzata, articolata, matura, offre una rappresentazione perfetta dell’ambiente scolastico grazie ad attori capaci di caratterizzare i grotteschi personaggi: dall’esilarante professoressa di francese, Mortillaro, semialcolizzata e con parlata calabrese (geniale la scelta dei pantaloni della tuta rossa), alla docente di religione, suor Generosa, dall’alito pestilenziale e generosa anche di peli; dall’insegnante di italiano, Cozzolino, che incarna la figura apparentemente più attenta alla pedagogia, cercando di sottrarre gli studenti più deboli dal destino segnato, alla “prof” di ragioneria, Baccalauro, con evidenti problemi di nevrosi e di alienazione derivanti anche dalla turbolenta situazione sentimentale; da quello di arte, Alinovi, che non nasconde la sua effervescente omosessualità a quello di tecnica, Cirrotta, impegnato spesso a parlare al cellulare per il doppio lavoro nel settore degli impianti di riscaldamento. Non manca, naturalmente, la preside, efficace l’accento sardo, la quale ben rafforza l’ambiente bizzarro che domina ogni cosa. Non a caso il sottotitolo del romanzo è “Comitato di svalutazione”.

Gli attori: Alberto Afflitto, Pamela Branca, Laura Casamenti, Paola de Sanctis, Stefano Guerrieri, Walter Maggio e Silvia Scarsi. Regia di Marco De Riso.

Ancora l’immortale Eduardo, rilanciato dallo scudetto partenopeo: “Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita”.

Al Torrino ci sono riusciti appieno.

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