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La “questione romana”

MamoneUna buona notizia: Roma, città delle eterne contraddizioni ben immortalate nel racconto cinematografico della “Grande bellezza”, sta vivendo un periodo d’oro nel turismo. Tra i numerosi dati positivi, sono indicativi quelli della società Global Blue, specializzata in servizi tax free: nell’ultimo anno, nella Capitale, le vendite ai turisti russi sono aumentate del 49 per cento, agli americani del 26 per cento e ai cinesi del 24 per cento. La media di crescita registra un ragguardevole 16 per cento e potrebbe essere più alta se non ci fosse stato il crollo dei giapponesi, meno 29 per cento. Ovviamente è la moda la categoria merceologica che va per la maggiore (più 24 per cento gli acquisti nel centro storico della Capitale, sospinti soprattutto dai russi), un trend analogo alle principali città turistiche italiane come Firenze e Venezia.

Questa manna per l’industria delle ricettività e per il commercio (e per la città tutta), in parte amaro frutto delle disgrazie altrui (gli attentati terroristici in Nord Africa e in Francia), costituisce però una grande occasione mancata per Roma. Perché s’inserisce in una metropoli che, paradossalmente, mentre registra il pienone di turisti da tutto il mondo, è incapace di fidelizzare questa risorsa attraverso proposte e servizi di qualità. Al contrario, continua ad offrire il peggio di sé.

Insomma, se la parte sana dell’imprenditoria romana ha ripreso a fare utili – pur con la concorrenza della criminalità che ricicla soldi con ristoranti alla moda, degli immobili in “nero” che intercettano il turismo, delle multinazionali che omologano l’offerta al ribasso, dei negozietti che vendono paccottiglia o dell’ambulantato che offre il prodotto ben taroccato – la gestione amministrativa pubblica perpetua gli sfregi alla città che si trascinano da anni.

Certo, parlare male di Roma è ormai una moda. Lo fanno i comici e i (presunti) intellettuali. Lo fanno gli utenti dei bus e i giornalisti più radicalchic. Lo fanno gli inevitabili osservatori stranieri con l’immancabile buona dose di sottile piacere. Perché c’è una sorta di cinica sudditanza mista ad una dolorosa assuefazione ai disservizi quotidiani, alle inchieste giudiziarie (su tutte la supercitata Mafia Capitale), ai fatti di cronaca che nella Capitale assumono un’eco mediatica più rilevante, alle foto della sporcizia che saltuariamente vengono divulgate dai giornali d’oltrefrontiera, ai video virali che testimoniano un degrado fisico e morale fatto persino di cinghiali che invadono il quartiere Aurelio o di emarginati che si accoppiano sui marciapiedi della stazione Termini. Ma negli ultimi giorni la nenia ha accentuato l’intensità, forse per accompagnare il bilancio dell’ormai prossimo primo compleanno dell’amministrazione pentastellata.

Comunque la si pensi, l’investitura popolare dei Cinquestelle alla guida della Capitale, ampia e capillare tanto da essere confermata in tredici Municipi su quindici, è stata accompagnata da barlumi più o meno intensi di speranza da parte dei quasi 800mila romani – di destra, di centro e di sinistra – che hanno riposto la fiducia nella giovane sindaca e nella sua squadra. La richiesta degli elettori è stata chiara: garantire una discontinuità con un passato pieno di molte ombre e di poche luci. Qualcuno ha sperato in un rinnovamento civile grazie ai valori professati – a volte urlati – dai giovani grillini in campagna elettorale, “onestà” su tutti, ma anche l’esternazione di attivismo ed entusiasmo senza parsimonia.

Certo, la missione non sarebbe stata facile. Si sapeva. Qualcuno ha persino insinuato che li hanno fatti vincere apposta. Perché Roma soffre di un impianto amministrativo da tempo incancrenito. Le periferie continuano a subire un abbandono tramandato di giunta in giunta. Il centro storico è caratterizzato da crescenti sacche di abbrutimento. Interessi economici ormai attecchiti, non tutti leciti, restano difficilmente scardinabili. Le cattive abitudini rappresentano quasi sempre la regola. Insomma, un’eredità non invidiabile.

Ma a distanza di quasi un anno dall’insediamento in Campidoglio – il primo anniversario scatterà il prossimo 22 giugno – è facile constatare un diffuso sconforto verso l’amministrazione pubblica della città da parte di chi vive a Roma. Al di là di quelli che possono essere stati peccati di inesperienza o di approssimazione della giunta (dai tre assessori su dieci persi per strada al “capitolo sportivo” delle Olimpiadi e dello stadio della Roma), la vera preoccupazione viene da una città che non riparte. Anzi, è preda di un degrado dilagante che sembra ormai inarrestabile. Un elenco di problemi tutto sommato facile da snocciolare, tra sporcizia perpetua, cassonetti non svuotati, disservizi nei trasporti, ecc.

Se da parte dei giovani (e talvolta volenterosi) amministratori mancano atti di coraggio, quelli che ad esempio hanno fatto ripartire l’orgogliosa Milano, a cominciare dalla riduzione del traffico, è lo stesso tessuto cittadino romano a dimostrarsi lacerato, tra indifferenza e ataviche contrapposizioni. Piccoli indizi di ciò vengono dai tentativi di pedonalizzazione (ad esempio nel quartiere Monti), che rinnovano i conflitti tra residenti, commercianti e amministratori. O dalle occasioni mancate, come la “risistemazione” dell’ormai spossato quartiere San Giovanni, dopo dieci anni di cantieri per realizzare il prossimo capolinea della metro C: qui l’unica (molto discutibile) proposta, che sta amplificando le fratture sociali, è di chiudere una strada, viale Castrense, che è lo sbocco della tangenziale. Persino una delle poche innovazioni artistiche, la Nuvola di Fuksas all’Eur, sta facendo parlare (male) di sé per il conto economico e per gli inconvenienti tecnici. E l’elenco potrebbe essere infinito, con il sacrificio di tre ragazzine nomadi a Centocelle per riaccendere gli interessi mediatici – per qualche giorno – sul degrado e l’emarginazione che regna nelle periferie.

Insomma, i mali di Roma sembrano cronicizzati e le pochissime “ricette” che vengono messe oggi in campo dimostrano che la crisi è davvero profonda. Forse aveva ragione Dostoevskij che è la bellezza a salvare il mondo. Roma, la città eterna, ne vanta il primato, ma – per salvarsi – deve essere capace di valorizzarla.

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