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Roma, targa a Fellini vicino alla sede Unsic

Roma, Federico Fellini e via Albalonga, zona San Giovanni. Qui il regista riminese, appena approdato nella Capitale dalla provincia romagnola così eccelsamente tratteggiata, ha preso possesso della prima dimora. Ne abiterà altre di case. Ma quella al civico 13 della strada vicina a via Appia Nuova resterà sempre nei suoi ricordi. Perché ha segnato fortemente il suo rapporto con la città eterna. Tanto da tratteggiarla, attraverso una precisa ricostruzione a Cinecittà, anche nel suo celebre film “Roma”.

Ora quell’immersione della vita di via Albalonga è ricordato da una targa e da una serie di foto che i condomini del civico 13 hanno acconsentivo di porre nell’androne del loro palazzo. Si tratta di immagini preziose, d’epoca, che testimoniano il set del film “Roma”, ricostruito negli studi di Cinecittà, dove una via Albalonga in cartapesta ripropone lo spirito degli anni Trenta, attraversata da due linee di tram, piena di trattorie e di ragazzini che giocano in strada.

A fianco del palazzo di via Albalonga 13 c’è il Caf Unsic-Enasc, come testimoniato dalla foto.

Ha raccontato lo stesso regista in un’intervista apparsa sull’Espresso del 28 maggio 1971: “In un pomeriggio di ottobre del 1938 arrivai alla stazione, salii su una carrozzella e andai in Via Albalonga, rione San Giovanni. La prima cosa che mi capitò, scendendo dalla carrozzella davanti al numero 13 in cerca dell’affittacamere, fu di prendere uno sputo in testa da tre ragazzini che non si sono neppure ritirati dalla finestra. Fu la scoperta del romano, l’antico suddito papalino che vive in una città improbabile cresciutagli attorno a tradimento, uno che non si fida di dire la verità perché ‘non si sa mai’, pauroso per timori atavici, un uomo dalle prospettive molto ravvicinate, attorniato da storia e monumenti ma rapportato soltanto alle consuetudini quotidiane e alla tribù familiare, mamma sorelle, nonni nipoti zia. Via Albalonga di nome si trasformava in un enorme ristorante all’aperto con il tram che passava scampanellando in mezzo ai tavoli traboccanti di mamme e di nonne, di urla e di esclamazioni, di occhi di vitella e di paiate, di code alla vaccinara. Tutti distrattamente soddisfatti. Privo di senso del peccato perché già confessato ed assolto per ‘diritto di cittadinanza’, è difficile concepire il romano sfiorato dai rimorsi. Uno spirito ‘gommoso’ che non litiga con le istituzioni, non fa drammi sulla cultura, né giudica il prossimo che ritiene sempre peggiore di quello che è”.

Il regista ammette, a distanza di quasi quattro decenni da quell’incontro: “Roma non è cambiata dal 1938 ad oggi. In sostanza è sempre la stessa, con gli abitanti immersi nel sonno del ‘600, tutti fossili dalla salute di tartarughe. Roma non pone schemi, non sa di psicanalisi, è una palude prefreudiana entro cui si sta benissimo, non protegge, ma a lungo andare diventa un appartamento personale…”.

Meritoria, quindi, l’iniziativa di recuperare il filo della memoria, laddove il cinema – specie nella nostra città – costituisce un’ossatura anche sociale. L’apposizione della targa recupera una lunga dimenticanza.

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