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Jobs act: l’occupazione migliora oppure no? La polemica sui dati

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Le polemiche sui dati sono quanto di peggio ci sia per confondere l’opinione pubblica: se neppure sui numeri si riesce a mettersi d’accordo, la gente non sa più cosa pensare oppure pensa le cose più fantasiose, insomma, come si dice, “dà i numeri”. La polemica d’inizio agosto sull’occupazione in Italia richiede un minimo di buon senso e di capacità di leggerli, questi benedetti dati, che sono in realtà precisi e non equivoci, ma vanno un poco interpretati. Alla fine, si potrebbe concludere con il vecchio adagio del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Vediamo comunque come sta messa per davvero l’Italia. Partiamo dall’Istat, che ci ha appena informati che a giugno 2017 la stima degli occupati cresce dello 0,1% rispetto a maggio (+23 mila), un recupero, ma che solo parzialmente riprende il calo registrato nel mese precedente (-53 mila).

Il tasso di occupazione si attesta al 57,8%, in aumento di 0,1 punti percentuali. Questa lieve crescita congiunturale dell’occupazione è interamente dovuta alla componente femminile, mentre per gli uomini si registra un modesto calo, e interessa i 15-24enni e i 35-49enni. Aumentano i dipendenti a termine, sono stabili i dipendenti a tempo indeterminato mentre diminuisce il numero degli indipendenti. Si vede quindi che il dato mensile non ci dice moltissimo, perché l’oscillazione mensile è abbastanza significativa. Vediamo allora il cosiddetto “trimestrale”, aprile-giugno, che ci può dare un dato più stabile: allora le variazioni del solo mese di giugno risultano riassorbite in una quadro generale diverso, nel periodo aprile-giugno si conferma una crescita degli occupati rispetto al trimestre precedente (+0,3%, +64 mila), determinata dall’aumento dei dipendenti, sia permanenti sia, in misura maggiore, a termine. L’aumento riguarda entrambe le componenti di genere e si concentra quasi esclusivamente tra gli over 50.

Il lettore penserà subito che anche sui tre mesi lo sguardo è troppo provvisorio, ci vorrebbe almeno il bilancio di un anno. Eccolo: su base annua si conferma l’aumento del numero di occupati (+0,6%, +147 mila). La crescita, è determinata principalmente dalle donne e riguarda i lavoratori dipendenti (+367 mila, di cui +265 mila a termine e +103 mila permanenti), mentre calano gli indipendenti (-220 mila). A crescere sono gli occupati ultracinquantenni (+335 mila) a fronte di un calo nelle altre classi di età (-188 mila). Nello stesso periodo diminuiscono i disoccupati (-5,6%, -169 mila) e gli inattivi (-0,6%, -80 mila). A questo punto, chi vuole può farsi un’idea delle polemiche tra i sostenitori del governo, che dichiarano che le cose migliorano, e le opposizioni di destra e di sinistra, che puntano il dito soprattutto su due aspetti: che l’aumento del lavoro dipendente riguarda in buona parte contratti a termine, e che l’aumento dei posti di lavoro riguarda (stranamente ?) le fasce d’età più anziane. Chi ha ragione ? Come sempre in questi casi, la risposta è “dipende”. Da una parte ci sono le cifre nude e crude: gli indicatori dell’occupazione sono positivi. Ancora più interessanti se si allarga ancora di più lo spettro, come fanno alcuni esponenti del PD, che propongono un paragone con la situazione nel febbraio 2014, cioè dall’inizio del governo Renzi (quindi una “triennale” abbondante; prima, c’era ancora un governo a guida Pd, quello di Enrico Letta, ma si sa che Letta è ripudiato dal Pd di oggi).

Il confronto 2014-2017 evidenzia dati comunque positivi:  disoccupazione -1,8%; tasso di attività +1,4%, e sul triennio anche la disoccupazione giovanile migliora, rispetto al dato gravissimo, tra i peggiori in Europa, da cui partivano  i giovani italiani. Dall’altra parte, si può evidenziare il bicchiere mezzo vuoto: in particolare, gli elementi di provvisorietà della nuova occupazione, e soprattutto l’occupazione giovanile rimane altissima e preoccupante in sé, mentre del resto questa avanzata a colpi di uno e rotti per cento non è esattamente spettacolare, anche se proprio misurandola sul triennio si può riconoscere che sia almeno solida e progressiva. Quanto alla crescita delle assunzioni che favorisce piuttosto le persone di mezz’età potrebbe essere spiegata proprio a un elemento di successo del Jobs act: le nuove assunzioni con gli incentivi, assieme alle nuove regole sulle collaborazioni, hanno “bonificato” la palude dei cocopro, i collaboratori a progetto, che finalmente hanno avuto in gran parte un contratto più stabile. Questo spiegherebbe anche in buona parte la diminuzione dei lavoratori indipendenti, che si possono ritenere soprattutto “partite Iva” che in realtà nascondevano rapporti di lavoro dipendente. Questo mondo era fatto da ex-giovani, precari da tempo, ormai 40enni, che sono arrivati al posto fisso quasi in extremis.

Luca Cefisi

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