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Pantalone e le banche

Quattro banche tecnicamente fallite: Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara, CariFerrara. Ma l’attenzione è tutta sulle centinaia di persone che hanno sottoscritto le famose “obbligazioni subordinate”, che ora sono carta straccia. Poveri risparmiatori, secondo alcuni; speculatori, anche se magari sprovveduti e mal consigliati, secondo altri. Un anziano di Civitavecchia si è suicidato, travolto dall’angoscia per aver perso il capitale investito. Anche sulle responsabilità, si grida alla colpa del governo, e dell’Europa con le sue regole draconiane. Per la verità, la prima colpa e la prima responsabilità riguarda senza dubbio il management, i consigli di amministrazione, gli organi di controllo di quei quattro istituti bancari, che non hanno saputo fare il loro mestiere. Forse la Banca d’Italia, nel suo ruolo di controllore esterno, avrebbe potuto intervenire prima, ma questo non sposta di una virgola questo primo ed essenziale dato di fatto: hanno fallito certi rampanti e arroganti banchieri. Non si tratta, in Europa, delle prime banche a dover essere “salvate”, né delle maggiori: se per l’Italia si tratta di una novità, occorre ricordarsi che dalla crisi finanziaria internazionale del 2008 sono molte le banche che sono state sottoposte a procedure di salvataggio, di solito con forti interventi dello Stato: dalla Gran Bretagna alla Spagna alla Germania. Questi interventi hanno impedito disastri peggiori: è evidente che una banca non può fallire lasciando correntisti e risparmiatori allo scoperto, senza provocare non solo tragedie umane, ma anche un effetto a catena disastroso, per ragioni economiche evidenti e per ragioni psicologiche, che nell’economia hanno sempre un peso maggiore di quanto si voglia ammettere, e che porterebbero alla sfiducia, alla fuga degli investitori, fino al panico finanziario. Quello che fa la differenza, oggi, è la Direttiva europea 2014/59 sul “risanamento” delle banche, cioè su come gestire le banche fallite. La Direttiva dice esplicitamente che sinora in Europa non si era saputo bene cosa fare, di fronte a una crisi bancaria, e che non si può andare avanti con la solita soluzione del “Paga Pantalone” cioè lo Stato. Questo per due principali motivi: uno di tutela degli altri operatori, in un mercato europeo ormai unificato, dove la decisione eventuale di un governo nazionale di tutelare con aiuti statali una certa banca andrebbe a detrimento delle altre: insomma, non si vede perché oggi, se l’italiana Unicredit può aprire sportelli in Germania, come in effetti fa, e altrettanto fa Deutsche Bank in Italia, questi istituti possano poi, in caso di difficoltà, rivolgersi al Pantalone nazionale, alla fin fine fregando il concorrente (è un esempio teorico, abbiamo scelto appositamente due banche solide).

Ma c’è una ragione di giustizia che è forse più importante: il salvataggio delle banche, sinora,  banca-etrurial’hanno pagato i contribuenti europei. E questo era ormai davvero intollerabile, e politicamente insostenibile. Cosa indica, quindi, la Direttiva europea? Indica che a intervenire, tempestivamente, e previo debito licenziamento e sostituzione dei dirigenti delle banche interessate, devono essere apposite autorità dotate di appositi strumenti, in pratica lo stesso sistema bancario, attraverso fondi di gestione dei rischi appositamente preparati: nel nostro caso, interviene il Fondo nazionale di risoluzione, 3,6 miliardi di euro messi a disposizione non dallo Stato ma dalle banche forti, in particolare Unicredit, San Paolo e Ubi Banca; le quattro banche sono state ristrutturate come nuove società, i debiti accollati ad una “bad bank”, una banca speciale che cercherà di recuperare quel che si può ma insomma funzionerà come una specie di cestino dei rifiuti, al massimo forse riuscirà a risarcire le banche salvatrici, ma molto difficilmente tutti gli altri. Qui finiranno anche azioni e le obbligazioni subordinate, che in pratica vengono azzerate, e questo appare tutt’altro che ingiusto; sono costoro che hanno investito e guadagnato, spetta a loro assumersi i rischi, dolersi se non hanno vigilato sui manager incompetenti, pagare è l’altra faccia del loro mestiere, negli affari non ci sono soltanto giorni di sole. Ma ecco il nodo: tra questi, se non si intendono tanto i correntisti e i normali risparmiatori, ci sono però in pieno certi obbligazionisti, cioè coloro che hanno sottoscritto le cosiddette obbligazioni subordinate, che per loro natura sono sottoposte a particolari rischi, in particolare quello di non essere rimborsabili, o esserlo solo a certe condizioni, in caso di insolvibilità del debitore che le ha emesse, cioè la quattro banche in questione, appunto. In linea di principio, dunque, le regole europee non sono certo perverse, anzi: chi si sia messo nel mercato delle obbligazioni subordinate, che hanno scritto ben chiaro che sono giocattoli pericolosi, e del resto proprio per questo rendono di più, non dovrebbe lamentarsi, specialmente dopo aver incassato per un tempo più o meno lungo rendimenti ben maggiori di quelli che avrebbero fruttato delle scelte più prudenti. Per questo, tra l’altro, la corsa di tanti correntisti, nelle ultime settimane, a togliere i propri soldi dalle quattro banche coinvolte ha solo ragioni psicologiche: i conti correnti non sono a rischio, e neppure i conti deposito, anche sopra i 100mila euro (che in teoria potrebbero pure essere chiamati, secondo la Direttiva europea, a contribuire, ma non ce ne sarà bisogno). Purtroppo, oltre al principio, c’è anche la pratica: e, nella pratica, non si può spiegare la sottoscrizione delle obbligazioni da parte di tanti semplici risparmiatori senza esperienza di finanza senza ricordare il contesto sociale e umano in cui le quattro banche operano: i tanti piccoli centri della provincia operosa, dove il direttore della filiale, come il parroco e il carabiniere, è una piccola autorità locale, e molti clienti della banca, semplicemente, si fidano. Non si può, insomma, giudicare e condannare, senza tenere a mente che molte di quelle obbligazioni sono state sottoscritte non tanto sulla base di un sottile calcolo finanziario, ma della fiducia umana, del rapporto personale, dell’autorevolezza, mal impiegata, di un funzionario di banca conosciuto e percepito come “uno di noi”. Si dovrebbe anche riflettere sulla condizione di crescente pressione a cui sono sottoposti i funzionari bancari stessi, oggi che l’impiego in banca non è più sinonimo di sicurezza a tutta prova da licenziamenti, quando la dirigenza chiede loro di portare risultati in termini di vendita ai correntisti di sempre nuovi prodotti finanziari o assicurativi, esigendone, in pratica, la trasformazione da bancari a venditori. In pratica, insomma, molti di coloro che vedono oggi sfumare i loro capitali non corrispondono all’identikit dello squalo della finanza, ma piuttosto a quello del bravo ma ingenuo padre di famiglia. Si vedrà, infatti, se ci sia spazio anche per azioni legali, per cattiva o errata informazione ai sottoscrittori da parte della banca, anche se qui il sistema bancario mostra le sue trappole: certi rischi vengono, per esempio, segnalati dalla Consob, l’organo di controllo della finanza, ma quante persone normali, francamente, lo sanno e sono in grado di leggere e interpretare certe informazioni? Più spinosa la questione, tutta tecnica ma tutt’altro che banale, se la scelta della Banca d’Italia, della Associazione delle Banche Italiane, e delle altre autorità sia stata la migliore possibile. Certi banchieri hanno dichiarato, in questi giorni, che si sarebbe potuto impiegare un altro Fondo, il Fitd, Fondo interbancario tutela depositi, anch’esso finanziato dal sistema bancario nel suo complesso, che avrebbe subito messo in sicurezza i depositi sotto i centomila euro, e avrebbe alleggerito i conti generali, e inoltre affidato alle altre grandi banche partecipazioni nelle quattro piccole in difficoltà, salvando alla fine, pare, anche le obbligazioni. Insomma, secondo alcuni, le banche italiane avrebbero potuto lavare i panni sporchi in famiglia, mettendo a disposizione più fondi, se non per solidarietà, certo per l’interesse a che certe conseguenze non seminassero dubbi e diffidenze anche nella più ampia platea di tutti i clienti di tutte le banche, evitando cioè lo “scandalo” della liquidazione delle vecchie società e dell’azzeramento quindi azioni e obbligazioni. Si è deciso diversamente, a Roma e a Bruxelles: panni, e stracci, sono stati esposti.

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